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ESG e impresa: la strada per un futuro aziendale migliore

10 minuti di lettura
ESG e impresa: la strada per un futuro aziendale migliore

 

Sostenibilità significa lasciare alle future generazioni non solo un pianeta abitabile, ma anche un lavoro dignitoso e una società più giusta.

 

Nel dibattito pubblico e nel linguaggio aziendale, la parola “sostenibilità” è ormai onnipresente.

Ma siamo sicuri di averne compreso il significato autentico? Troppo spesso, infatti, questo termine viene ridotto alla sola dimensione ambientale, come se parlare di sostenibilità volesse dire esclusivamente preoccuparsi di emissioni di CO₂, plastica negli oceani o energia rinnovabile.

La sostenibilità è molto di più.

Oggi, il concetto si declina su tre assi fondamentali: Environment, Social e Governance, l’acronimo ESG con cui imprese, investitori e istituzioni stanno ridisegnando il futuro.

E se l’ambiente e la governance iniziano a essere correttamente integrati nei piani aziendali, c’è una dimensione che resta spesso in ombra: la “S” di Social, ovvero l’impatto che l’impresa ha sulle persone, sul lavoro, sulle comunità.

Comprendere e attuare la sostenibilità sociale non è solo un dovere etico, ma anche una leva strategica per affrontare le sfide del nostro tempo: crisi demografiche, difficoltà nel reperire personale qualificato, richiesta di maggiore flessibilità da parte dei lavoratori e un crescente bisogno di equità e riconoscimento.

 

Come è nata la sostenibilità sociale?

Il caso Chernobyl e l’avvento dell’ESG

La consapevolezza che non fosse più possibile ignorare l’impatto dell’uomo sul pianeta ha un punto di svolta storico ben preciso: l’esplosione del reattore 4 della centrale nucleare di Chernobyl, avvenuta il 26 aprile 1986. Un evento drammatico, che superò confini geografici e ideologici, scuotendo le coscienze in tutto il mondo. Non si trattò soltanto di una catastrofe ambientale, ma fu una frattura simbolica che fece emergere con forza la necessità di ripensare il nostro modello di sviluppo.

Per la prima volta, in modo diffuso e trasversale, prese piede l’idea che la crescita economica non potesse più prescindere dal rispetto per l’ambiente, per le persone e per il futuro delle generazioni a venire. Nacque così il concetto di sviluppo sostenibile, formalizzato nel 1987 dal Rapporto Brundtland, che lo definì come “lo sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”.

Col tempo, la sostenibilità ha assunto una dimensione più ampia, sistemica. Oggi, infatti, si parla anche di sostenibilità integrata, che abbraccia non solo l’ambiente ma anche la giustizia sociale e la governance aziendale.

Da questa evoluzione è nato l’acronimo ESG, che rappresenta le tre dimensioni su cui ogni impresa è chiamata a misurare il proprio impatto.

La vera rivoluzione è nella consapevolezza che profitto e responsabilità non sono in contraddizione, ma possono e devono coesistere.

In particolare, la dimensione “Social” ha acquisito un’importanza crescente, perché investire sulle persone, sui lavoratori, sulle comunità, sui territori, non è solo un gesto etico, ma una scelta strategica.

 

Cosa significa ESG?

Nel mondo della finanza sostenibile e della gestione d’impresa responsabile, l’acronimo ESG è diventato un punto di riferimento imprescindibile. Ma cosa significa davvero? Come si applica concretamente nelle scelte aziendali?

 

“E” come Environment: la tutela dell’ambiente

La prima lettera dell’acronimo rappresenta l’ambiente. È forse l’aspetto più noto della sostenibilità, quello che include le politiche per ridurre le emissioni inquinanti, migliorare l’efficienza energetica, promuovere l’economia circolare e salvaguardare le risorse naturali.

Attenzione, perché non si tratta solo di “essere green”. Oggigiorno, le imprese sono chiamate a dimostrare, anche attraverso report ambientali certificati, di saper prevenire e gestire l’impatto ecologico della propria attività, non solo per obbligo normativo, ma per visione strategica e reputazionale.

 

“S” come Social: l’impatto sulle persone e sulle comunità

Questa voce riguarda tutto ciò che ha a che fare con il rispetto dei diritti umani, dei lavoratori, delle comunità locali, delle politiche di inclusione, delle pari opportunità e della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

In pratica, significa mettere le persone al centro: collaboratori, clienti, fornitori, stakeholder. Significa rivedere le dinamiche aziendali non solo per massimizzare l’efficienza, ma anche per creare valore condiviso e duraturo.

Questa dimensione è particolarmente attuale in un contesto in cui si moltiplicano le richieste di flessibilità, equilibrio vita-lavoro, riconoscimento delle competenze e benessere organizzativo.

 

“G” come Governance: trasparenza e responsabilità

La terza componente dell’ESG è la governance, ovvero il modo in cui un’azienda è amministrata, controllata e orientata nel lungo periodo. Include aspetti come la trasparenza dei bilanci, l’etica aziendale, la composizione del consiglio di amministrazione, la gestione dei conflitti di interesse e la capacità di integrare i criteri ESG nelle decisioni strategiche.

Una governance solida riduce i rischi, rafforza la fiducia degli investitori, dei dipendenti e del mercato.

È la struttura portante che rende possibile una sostenibilità credibile e duratura.

 

Perché è importante la sostenibilità sociale sul lavoro?

Quando si parla di sostenibilità, il pensiero corre quasi sempre all’ambiente: energie rinnovabili, riduzione delle emissioni, economia circolare. Ma c’è un’altra dimensione, spesso trascurata, che oggi sta diventando sempre più centrale: la sostenibilità sociale, quella che riguarda il modo in cui viviamo e lavoriamo, come ci relazioniamo all’interno delle imprese, e cosa significa davvero costruire un’organizzazione giusta e duratura.

Negli ultimi anni, e ancora di più dopo il Covid, abbiamo assistito a un fenomeno chiaro: sempre più persone hanno iniziato a mettere in discussione il proprio posto di lavoro. C’è chi ha lasciato volontariamente, chi ha scelto la partita IVA, chi ha cambiato completamente settore.

La scelta è stata dettata da una serie di fattori, tra cui il modo di lavorare fatto di orari rigidi, la poca attenzione alla vita personale, la scarsa valorizzazione delle competenze.

La sostenibilità sociale risponde proprio all’esigenza di creare contesti lavorativi in cui le persone non siano solo forza lavoro, ma parte attiva e riconosciuta di un progetto comune. Dove si possa conciliare il lavoro con la famiglia, dove ci sia spazio per crescere, per imparare, per essere ascoltati. Dove i diritti valgano davvero per tutti, e non solo sulla carta.

Non si tratta solo di essere “buoni datori di lavoro”, ma di essere aziende intelligenti, capaci di comprendere che il vero capitale da proteggere è quello umano. Perché una persona che si sente valorizzata lavora meglio, resta più a lungo, porta idee, energie, soluzioni. E questo, alla lunga, fa bene a tutti: all’impresa, al territorio, all’economia.

 

Sostenibilità sociale significa guardare oltre l’immediato, investire in relazioni sane e costruire fiducia.

 

Quali sono le criticità del modello lavorativo tradizionale?

Il mondo del lavoro che conoscevamo sta cambiando e anche molto in fretta. Eppure, purtroppo, molte aziende sembrano non accorgersene o, peggio, fanno finta che tutto possa continuare come prima.

Per decenni, il modello dominante è stato quello della produttività a ogni costo.

Uno degli effetti più evidenti di questo modello riguarda i giovani. Oggi, molti di loro entrano nel mondo del lavoro con grandi aspettative e ne escono rapidamente delusi. Stage non retribuiti, contratti a termine, promesse mai mantenute. Spesso dopo anni di impegno, studio e sacrifici, si ritrovano con in mano poco o nulla. Questo è un problema enorme, che incide sulla loro capacità di progettare un futuro, di mettere su famiglia, di restare nel proprio territorio.

Un altro punto critico riguarda la flessibilità. L’esperienza del Covid ha mostrato quanto sia importante lavorare in modo diverso: orari personalizzati, lavoro da remoto, maggiore autonomia. Eppure, molte imprese hanno faticato ad accettare questo cambiamento. Come se la presenza in ufficio fosse garanzia di efficienza.

C’è poi il tema, mai risolto, della parità di genere. Nonostante i progressi, le differenze salariali tra uomini e donne persistono, così come le difficoltà di carriera per le madri lavoratrici. Eppure, basterebbe poco: ascolto, flessibilità, rispetto. Non si tratta di fare favori, ma di costruire contesti in cui ognuno, uomo o donna, possa esprimere il proprio potenziale senza ostacoli.

Infine, c’è una questione di fiducia. Per anni, molti datori di lavoro hanno agito come se ogni dipendente fosse un problema da controllare. Un’organizzazione sostenibile è fatta di relazioni, di ascolto, di responsabilità condivisa. Un ambiente in cui ci si fida gli uni degli altri e si lavora per obiettivi comuni.

 

Non esiste sostenibilità senza consapevolezza.

Non esiste crescita senza cambiamento.

 

Spesso si sente dire che la sostenibilità sociale è un lusso che solo le grandi aziende possono permettersi. Una visione errata, ma comprensibile. Infatti, cambiare richiede impegno, visione e, in certi casi, anche risorse.

Ma la domanda da porsi non è “quanto costa essere sostenibili?”, bensì “quanto costa non esserlo?”.

Oggi più che mai, il vero vantaggio competitivo di un’azienda non è solo il prodotto che vende o il servizio che offre, ma le persone che la compongono. Sono loro a fare la differenza, a portare innovazione, qualità, continuità. Quando le persone si sentono parte di un progetto, sono ascoltate, rispettate e valorizzate, l’impresa cresce.

Questa crescita non riguarda solo il fatturato, ma anche la reputazione, la solidità e la capacità di affrontare il futuro.

Pensiamo al turnover del personale. Formare continuamente nuovi dipendenti, perdere competenze acquisite, ricominciare da zero ogni volta ha un costo enorme, spesso invisibile.

Un ambiente di lavoro sostenibile fidelizza: le persone restano, crescono, contribuiscono.

Oppure, pensiamo alla reputazione. In un’epoca in cui le informazioni circolano molto velocemente, le aziende sono sotto gli occhi di tutti.

Clienti, fornitori, investitori vogliono sapere con chi stanno facendo affari. E le imprese che dimostrano attenzione al benessere dei lavoratori, all’equità, alla responsabilità sociale, partono in vantaggio. Si tratta di una leva concreta per attrarre collaborazioni, finanziamenti, talenti.

Anche dal punto di vista normativo, il panorama sta cambiando. Sempre più bandi pubblici e fondi privati premiano le imprese con alti standard ESG. Avere un bilancio di sostenibilità aggiornato, una politica di welfare attiva, un sistema di governance inclusivo non è più solo buona pratica: sta diventando requisito per competere.

E poi c’è un altro aspetto, forse meno misurabile ma fondamentale: la cultura interna.

In un’azienda che mette al centro le persone si lavora meglio, c’è meno conflitto e più collaborazione.  

 

Quali sono le buone pratiche?

Per molte aziende, soprattutto le piccole e medie imprese, parlare di sostenibilità sociale può sembrare un terreno complesso, astratto, forse addirittura distante dalla quotidianità operativa. Non servono rivoluzioni improvvise, si può iniziare con piccoli cambiamenti, concreti e misurabili.

 

Ascoltare e coinvolgere i lavoratori

Il primo passo è ascoltare chi vive l’azienda ogni giorno. Organizzare incontri periodici, raccogliere feedback, aprire canali di comunicazione reale, per contribuire a creare un clima di fiducia e collaborazione. Quando i dipendenti si sentono parte attiva di un progetto, si responsabilizzano, propongono, si sentono valorizzati.

 

Ripensare gli orari e le modalità di lavoro

Dove possibile, introdurre elementi di flessibilità, oraria o logistica, può fare una grande differenza. Smart working, orari modulabili per neogenitori, turnazioni più umane sono soluzioni che spesso non costano nulla, ma migliorano moltissimo il benessere delle persone e aumentano la produttività.  

 

Investire nella formazione continua

Non c’è sostenibilità sociale senza crescita professionale. Offrire ai propri collaboratori opportunità di aggiornamento, corsi di specializzazione, percorsi di sviluppo è un modo per costruire valore dentro e fuori l’azienda.

 

Riconoscere il merito, senza discriminazioni

La parità di genere, il riconoscimento delle competenze, l’equità salariale sono sfide che non si affrontano solo con slogan, ma con decisioni concrete. Revisionare le retribuzioni, creare percorsi di carriera trasparenti, premiare il merito indipendentemente da genere, età o provenienza è un dovere.

 

Curare il benessere organizzativo

Promuovere il benessere psicofisico delle persone non è più un’opzione.

Creare un ambiente di lavoro sano, rispettoso, attento alle fragilità,  offrire supporto nei momenti critici, facilitare la conciliazione vita-lavoro, adottare uno sguardo più umano e meno meccanico sulla produttività: è da qui che nasce una vera cultura sostenibile.

 

Una cultura del lavoro sostenibile si costruisce giorno dopo giorno,

gesto dopo gesto.

 

Siamo arrivati a un bivio. Le aziende che sapranno integrare la sostenibilità sociale nelle proprie scelte non solo faranno la cosa giusta, ma si troveranno pronte ad affrontare un mondo del lavoro che non sarà più quello di prima. Perché i modelli vecchi scricchiolano, i giovani chiedono spazio, i lavoratori chiedono rispetto, le famiglie cercano equilibrio. E chi saprà ascoltare, cambiare, innovare sarà premiato.

Serve coraggio, certo, ma anche competenza. Non basta la buona volontà per diventare davvero sostenibili. È necessaria una consulenza strategica ed è necessario affidarsi a professionisti in grado di accompagnare l’azienda passo dopo passo, con strumenti concreti e misurabili.

 

Il cambiamento è già iniziato. Vuoi esserne parte o vuoi subirlo?

 

Foto del profilo di Piero di Bello
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