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Il futuro delle imprese tra parità di genere e leadership femminile

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Il futuro delle imprese tra parità di genere e leadership femminile

Nel mondo del lavoro, parlare di parità di genere significa garantire le stesse opportunità a donne e uomini e agire concretamente per rimuovere quegli ostacoli, spesso invisibili e strutturali, che ancora oggi limitano l’accesso delle donne al mercato del lavoro e ne condizionano la crescita professionale.

Con la legge 162/2021, l’Italia ha introdotto uno strumento innovativo ed essenziale: la Certificazione della parità di genere, pensata per incentivare le imprese a promuovere ambienti più equi, trasparenti e inclusivi. Si tratta di un percorso che punta a ridurre il gender pay gap (differenza tra il salario annuale medio percepito dalle donne e dagli uomini), valorizzare le competenze femminili, tutelare la maternità e favorire l’accesso delle donne a ruoli apicali e decisionali, da cui troppo spesso sono escluse.

Un cambiamento necessario, che guarda al futuro del lavoro come spazio di uguaglianza, crescita e competitività.

 

Favorire la parità non è solo una questione di giustizia sociale, ma una scelta strategica per chi vuole costruire imprese solide, moderne e capaci di generare valore.

 

Quali sono gli obiettivi e le finalità della Certificazione della parità di genere?

Introdotta con la legge 162 del 2021, la Certificazione della parità di genere rappresenta un passo concreto verso una trasformazione culturale e organizzativa nelle imprese italiane. La Certificazione è un modello virtuoso che integra i principi di equità e di inclusione nella governance aziendale.

Qual è l’obiettivo?

Promuovere la parità sostanziale tra uomini e donne nel mondo del lavoro, incentivando le aziende a adottare politiche strutturate, verificabili e misurabili. Le aree di intervento previste sono strategiche: dalla parità retributiva alla qualità dell’occupazione femminile, dalla tutela della maternità e della genitorialità alla conciliazione tra vita privata e lavorativa.

La norma sollecita anche un’equa distribuzione delle posizioni di leadership, promuovendo l’accesso delle donne a ruoli decisionali.

La Certificazione agisce come un motore di cambiamento interno, stimolando le imprese a ripensare processi, strumenti e culture organizzative. Le aziende che intraprendono questo percorso, sottoponendosi a una valutazione oggettiva e indipendente, ottengono in cambio benefici concreti: incentivi fiscali, punteggi premiali negli appalti pubblici, accesso a fondi e bandi dedicati, ma anche un significativo valore reputazionale sul mercato e nei confronti degli stakeholder.

A differenza di molte iniziative che restano sulla carta e quindi non producono alcun cambiamento, la legge 162/2021 propone un modello dinamico, basato su un sistema di monitoraggio continuo.

Le imprese certificate sono chiamate a rendicontare i risultati, a tracciare i progressi nel tempo e a dimostrare con dati e pratiche il proprio impegno verso la parità. In questo modo, la Certificazione non si esaurisce in un singolo momento, ma diventa parte di un percorso di miglioramento costante, fondato su trasparenza, accountability e responsabilità sociale.

 

PNRR: inclusione, crescita e innovazione

La Certificazione della parità di genere, introdotta dalla legge 162/2021, non è un intervento isolato, ma parte integrante di una strategia nazionale più ampia di modernizzazione del mercato del lavoro e rafforzamento della coesione sociale. A confermarlo è il suo inserimento all’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), in particolare della Missione 5 “Inclusione e Coesione”, che mira a ridurre le disuguaglianze territoriali, economiche, generazionali e di genere.

All’interno di questa cornice, la Certificazione si colloca nella Componente 1, dedicata alle politiche attive del lavoro e al sostegno all’imprenditoria femminile.

Inoltre, si lega perfettamente a una visione evoluta dell’impresa, che diventa attore sociale responsabile, capace di contribuire alla trasformazione culturale del Paese.  

L’intento è duplice. Da un lato, rendere il lavoro femminile più accessibile, stabile e di qualità; dall’altro, stimolare l’evoluzione dei modelli organizzativi, promuovendo contesti realmente inclusivi e rispettosi della diversità.

Per rendere operativo questo obiettivo, il PNRR ha stanziato 10 milioni di euro, destinati alle imprese che decidono di intraprendere il percorso per ottenere la Certificazione. Tali risorse non finanziano solo l’ottenimento del bollino, ma anche il supporto consulenziale, la formazione interna, l’adeguamento dei processi aziendali e le verifiche di conformità.

Insomma, si sostiene l’intero ciclo di trasformazione, dalla diagnosi iniziale alla valutazione finale.

Il ruolo centrale in questa fase è giocato dalle PMI, che rappresentano oltre il 90% del tessuto produttivo italiano. Nonostante abbiano risorse più limitate rispetto alle grandi aziende, molte piccole e medie imprese hanno compreso il potenziale strategico della Certificazione, sia in termini di accesso a bandi e appalti, sia come leva di valorizzazione interna del capitale umano.

Secondo i dati aggiornati a fine 2024, circa 1.800 imprese hanno ottenuto la Certificazione, in larga parte PMI, segnando il raggiungimento del 60% del target previsto inizialmente dal PNRR. Un risultato incoraggiante, che ha spinto il governo a rivedere al rialzo gli obiettivi e a confermare il sostegno finanziario anche per il biennio 2025–2026.

È importante sottolineare che la Certificazione non riguarda solo la parità “formale” (stipendi, orari, permessi), ma punta a incidere su aspetti più profondi e spesso meno visibili: la rappresentanza nei processi decisionali, l’accesso a percorsi di formazione e crescita professionale, l’equilibrio nella gestione delle carriere e delle responsabilità familiari. Per questo, il sistema di Certificazione si fonda su un modello evidence-based, con indicatori oggettivi che vengono periodicamente monitorati, validati e resi trasparenti.

La Certificazione non è soltanto uno strumento di equità, ma un moltiplicatore di valore, che si riflette su più livelli:

  • Organizzativo, migliora il clima aziendale e riduce il turnover;
  • Competitivo, offre un vantaggio nei bandi pubblici e nella reputazione sul mercato;
  • Culturale, contribuisce a scardinare stereotipi e a promuovere modelli di leadership inclusivi.

 

Grazie alla Certificazione della parità di genere si costruisce un ecosistema in cui la sostenibilità sociale diventa parte integrante delle strategie d’impresa, generando un impatto che va ben oltre il perimetro aziendale e contribuisce a ridisegnare il futuro del lavoro in chiave più umana, partecipativa e innovativa.

 

Perché la Certificazione della parità di genere è un percorso in continuo divenire?

Monitoraggio, trasparenza e revisione

Uno degli elementi distintivi della Certificazione della parità di genere è il suo carattere dinamico. Non si tratta di un bollino ottenuto una tantum, ma di un percorso strutturato e misurabile nel tempo, fondato su un sistema di monitoraggio continuo e trasparente.

Le imprese certificate devono impegnarsi in un processo di rendicontazione periodica, basata su indicatori chiari, oggettivi e comparabili.

Il modello di valutazione, sviluppato a partire dalla prassi UNI/PdR 125:2022, prende in considerazione sei aree strategiche:

  1. Cultura e strategia;
  2. Governance;
  3. Processi HR;
  4. Opportunità di crescita e inclusione;
  5. Equità retributiva;
  6. Tutela della genitorialità.

Ciascuna area viene misurata con criteri specifici e assegnazione di punteggi, consentendo alle imprese non solo di ottenere o meno la Certificazione, ma anche di individuare e comprendere le proprie aree di forza e di fragilità.

Questa struttura favorisce un ciclo di miglioramento continuo, che responsabilizza l’impresa, la invita a fare autocritica e la orienta verso pratiche più inclusive e consapevoli.

L’obiettivo non è “premiare” chi è già avanti, ma accompagnare le aziende verso un cambiamento culturale e gestionale profondo. In questo senso, la Certificazione si configura come strumento di accountability, che rafforza la coerenza tra valori dichiarati e comportamenti organizzativi reali.

Nel 2024, a fronte dei risultati incoraggianti ottenuti nei primi due anni, l’Italia ha presentato alla Commissione Europea una revisione della struttura del PNRR, che ha incluso l’aggiornamento degli obiettivi legati alla parità di genere. Il target numerico iniziale è stato ricalibrato in funzione delle performance raggiunte, dell’evoluzione normativa e della crescente richiesta da parte delle imprese. Questa revisione ha confermato che il sistema è in grado di adattarsi, di dialogare con i bisogni reali del tessuto produttivo e di evolvere in una logica di medio-lungo periodo.

Non meno importante, il monitoraggio offre una base dati preziosa per i policy maker, che possono analizzare le performance aggregate, identificare trend settoriali e territoriali, e intervenire con misure correttive mirate. La trasparenza, in questo contesto, diventa leva di fiducia per il mercato e per la cittadinanza, rafforzando la legittimità dell’intero sistema.

 

La Certificazione della parità di genere non è un traguardo, ma un processo trasformativo che richiede coerenza, visione e impegno costante.

Per questo motivo, ogni impresa che decide di intraprendere questo percorso abbraccia, consapevolmente, una nuova idea di leadership fondata sulla volontà di generare impatto sociale positivo e duraturo.

 

Qual è il ruolo della Certificazione della parità di genere negli appalti pubblici?

Vantaggi e intrasferibilità dell’avvalimento

Nel quadro della transizione verso un’economia più equa, sostenibile e socialmente responsabile, la Certificazione della parità di genere assume un ruolo sempre più rilevante anche nel settore degli appalti pubblici. Il nuovo Codice dei Contratti Pubblici (D. Lgs. 36/2023) ha confermato l’importanza dei criteri ESG nella valutazione delle offerte, prevedendo punteggi premiali per le imprese che dimostrano impegni concreti in materia ambientale, sociale e di governance.

Tra questi, il possesso della Certificazione per la parità di genere è in grado di generare un vantaggio competitivo significativo. Le stazioni appaltanti possono, infatti, attribuire un punteggio aggiuntivo alle imprese certificate, riconoscendo il valore organizzativo e culturale di chi ha scelto di investire in politiche inclusive, paritarie e misurabili.

Ma se da un lato questo meccanismo incentiva le imprese a trasformarsi, dall’altro solleva una questione giuridica rilevante: la Certificazione può essere “avvalsa” da un’altra impresa? 

La risposta, inequivocabile, è no.

A differenza delle certificazioni tecniche o di sistema, come ISO 9001 o 14001, che attestano requisiti oggettivi e trasferibili (ad esempio, la qualità di un processo produttivo o la gestione ambientale), la Certificazione per la parità di genere ha una natura intrinsecamente soggettiva. Essa riflette le pratiche interne, la cultura aziendale, le politiche di inclusione e le scelte strategiche messe in atto dalla singola organizzazione. È quindi non cedibile, non delegabile e non utilizzabile in avvalimento.

Questa posizione è stata confermata da recenti pronunce della giurisprudenza amministrativa, che hanno chiarito come l’art. 104 del D. Lgs. 36/2023, sebbene consenta il ricorso all’avvalimento per dimostrare requisiti economici, tecnici o professionali, non possa essere esteso ai requisiti valoriali e organizzativi che attengono alla struttura interna dell’impresa.

 

La cultura organizzativa non si può “prestare”". 

Ogni impresa deve dimostrare in propriol’adozione di pratiche coerenti con gli standard richiesti dalla certificazione.

 

Il principio di intrasferibilità della certificazione ha un valore sistemico, indispensabile per preservare l’integrità del meccanismo premiale, evitando che diventi uno strumento opportunistico o puramente formale.  

In questo modo, si garantisce che il riconoscimento vada a chi ha effettivamente intrapreso un percorso di trasformazione, con investimenti concreti, ridefinizione dei processi interni e coinvolgimento reale delle risorse umane.

Non va dimenticato che la Certificazione, oltre al punteggio negli appalti, contribuisce al posizionamento reputazionale dell’impresa, elemento sempre più rilevante in mercati orientati al valore sociale. I committenti, pubblici e privati, tendono a privilegiare partner che condividano visioni, valori e obiettivi di sostenibilità

Per le imprese che operano nel settore pubblico, è fondamentale comprendere che la conformità valoriale, in termini di equità, inclusione e responsabilità, sta diventando condizione di accesso privilegiato alle filiere pubbliche e ai finanziamenti europei.

 

La Certificazione è, a tutti gli effetti, un passaporto di credibilità e affidabilità, destinato a pesare sempre di più nelle logiche di selezione e aggiudicazione.

 

Leadership femminile e cultura della diversità

Motori di innovazione e resilienza aziendale

La parità di genere non è più, da tempo, una questione esclusivamente etica. È diventata un criterio strategico di competitività, un indicatore di maturità organizzativa e un asset reputazionale che incide concretamente sulle performance aziendali. Le imprese che promuovono la diversità di genere, ma anche generazionale, culturale e di background, dimostrano una maggiore capacità di adattamento, di innovazione e di gestione del rischio. In uno scenario globale segnato da instabilità, transizione digitale e riconfigurazione dei mercati, questi fattori diventano decisivi.

Secondo il rapporto Diversity wins di McKinsey, le aziende con una rappresentanza femminile elevata nei board esecutivi hanno il 25% in più di probabilità di ottenere performance finanziarie superiori alla media. Le imprese che investono nella parità registrano anche tassi di retention più alti, una maggiore soddisfazione del personale e una cultura del lavoro più orientata al benessere, alla sostenibilità e alla responsabilità sociale.

Non è un caso che gli investitori istituzionali stiano integrando nei propri modelli decisionali indicatori ESG sempre più stringenti, tra cui la gender diversity nelle posizioni apicali.

 

La governance inclusiva è percepita come una garanzia di stabilità, di visione nel lungo periodo e di sensibilità sociale

È la condizione per costruire organizzazioni capaci di apprendere, di evolvere e di rimanere centrali in un contesto in continuo cambiamento.

 

Il ruolo della leadership femminile è particolarmente rilevante. Le donne, quando accedono ai livelli più alti del management, tendono a promuovere modelli decisionali più inclusivi, una maggiore attenzione alla coesione interna, una leadership collaborativa e dialogica. Qualità che si rivelano centrali nei momenti di trasformazione o di crisi. Lo si è visto chiaramente durante la pandemia, in cui i Paesi guidati da leader donne hanno ottenuto risultati migliori nella gestione dell’emergenza. E lo si osserva nelle imprese che stanno affrontando la transizione ecologica, la digitalizzazione e le sfide dell’intelligenza artificiale.

La promozione della parità di genere si inserisce in una riflessione più ampia sul ruolo dell’impresa nella società. Le imprese non sono più soltanto generatori di profitto, ma attori che producono, nel bene o nel male, conseguenze sociali, culturali e ambientali. L’adesione a modelli di capitalismo inclusivo, in cui il valore viene redistribuito e co-creato, diventa allora una scelta strategica, capace di garantire legittimità sociale, stabilità interna e sostenibilità a lungo termine.

 

La Certificazione della parità di genere è un patto di fiducia con il presente e un investimento nel futuro.

Un gesto consapevole con cui un’impresa dichiara, nei fatti, di voler essere protagonista di un’economia più giusta, più umana, più competitiva.

 

 

Foto del profilo di Piero di Bello
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