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Il patrimonio conteso a causa di una successione non pianificata

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Il patrimonio conteso a causa di una successione non pianificata

La globalizzazione delle carriere professionali e degli interessi familiari ha reso la successione internazionale un’area di crescente complessità, dove la mancata pianificazione patrimoniale può generare conseguenze fiscali devastanti. Un caso emblematico è rappresentato dalla gestione di un’eredità che coinvolge simultaneamente tre Paesi, Italia, Francia e Spagna, tre giurisdizioni con criteri di tassazione divergenti e un sistema di convenzioni bilaterali incompleto.

La vita di una famiglia, per quanto internazionale, è fatta di routine, progetti e decisioni apparentemente semplici. Un manager italiano che, per gestire una società in Francia, affitta un’abitazione per comodità. Un figlio che, attratto da nuove opportunità, costruisce la carriera in Spagna. Scelte di vita normali che, tuttavia, nel silenzio della burocrazia, gettano le basi per un labirinto fiscale di straordinaria complessità.

È al momento della successione internazionale che queste scelte rivelano la complessità. Alla scomparsa improvvisa del capofamiglia, l’Italia, Stato di residenza, avvia le procedure. Ma non è sola. La Francia interviene, reclamando il diritto di tassare il patrimonio in virtù del domicilio di fatto del defunto. E la Spagna fa lo stesso, forte del principio di “obbligazione personale” che lega l’erede residente sul suo territorio a dichiarare ogni bene ricevuto, ovunque si trovi.

Senza convenzioni bilaterali efficaci a proteggerli, gli eredi si trovano intrappolati in una tempesta perfetta: una potenziale tripla tassazione che minaccia di erodere il patrimonio costruito in una vita.

 

Tassazione successoria in Italia: principi, aliquote, franchigie e applicazione

Normativa italiana e territorialità mondiale

 

Il primo e più immediato conflitto di giurisdizione si apre sull’asse Italia-Francia.

 

“Dove si trovava il vero centro degli interessi vitali e professionali del defunto?”

 

La risposta a questa domanda determina quale dei due Stati avrà il diritto primario di tassare l’intero patrimonio.

Da una parte, l’Italia fonda la propria pretesa su un principio di certezza giuridica: la residenza fiscale formale. In base alla normativa di riferimento (D.Lgs. 346/1990), se il de cuius risultava fiscalmente residente in Italia al momento del decesso, l’intero suo patrimonio mondiale (dagli immobili in patria ai conti all’estero) è soggetto all’imposta di successione nazionale.

Il sistema italiano si distingue, nel panorama europeo, per un regime fiscale relativamente mite. Prevede infatti un’aliquota del:

  • 4% per coniuge e figli, con franchigia di 1.000.000 euro per ciascun erede;
  • 6% per fratelli e sorelle, con franchigia di 100.000 euro ciascuno;
  • 6% per parenti fino al quarto grado senza franchigia;
  • 8% per altri soggetti senza franchigia.

Un altro elemento chiave, che ha un impatto determinante sulla base imponibile, è il metodo di valutazione degli immobili. In Italia si utilizza il valore catastale, un dato amministrativo notoriamente inferiore al valore di mercato, che contribuisce a contenere in modo significativo l’onere fiscale finale.

I quadri d’arte e i beni mobili rientrano nella presunzione del 10% dell’attivo ereditario, superabile solo con inventario analitico, dettagliato e professionale.

 

Tassazione successoria in Francia: aliquote elevate, esenzioni e convenzione con l’Italia

Sistema francese e residenza del de cuius o dell’erede

La Francia adotta un approccio più sostanziale, andando a indagare il cosiddetto “domicilio di fatto”. Per l’amministrazione francese, la residenza formale in Italia può essere superata da prove concrete che dimostrino un forte legame con il territorio francese. Elementi come l’affitto di un’abitazione per un lungo periodo, la gestione diretta e continuativa di una società locale o la semplice frequenza e durata delle permanenze per motivi professionali sono sufficienti per sostenere che il centro degli interessi del manager fosse, di fatto, anche in Francia.

Questa interpretazione fa scattare l’applicazione dei “droits de succession”, un sistema fiscale tra i più onerosi d’Europa, le cui aliquote sono le seguenti:

  • Coniuge e partner: esenzione totale;
  • Figli: franchigia 100.000 euro per erede, aliquota dal 5% al 45% progressivo;
  • Fratelli: franchigia: 15.932 euro, aliquota 35-45%;
  • Altri parenti e terzi: franchigia molto ridotta se non addirittura nulla, aliquota fino al 60%.

La differenza più critica, però, risiede nella valutazione degli asset. Infatti, la Francia pretende che ogni bene sia tassato in base al suo valore di mercato reale (valeur vénale). Questa divergenza metodologica da sola può far raddoppiare o triplicare la base imponibile di un immobile rispetto alla valutazione italiana, con un impatto devastante sull’imposta finale.

A complicare ulteriormente il quadro interviene la convenzione bilaterale del 1990.

Sulla carta, questo trattato dovrebbe prevenire la doppia imposizione, ma nella pratica la sua efficacia si rivela parziale e pericolosamente asimmetrica. La Convenzione prevede un meccanismo di Credito d’Imposta, ma il profondo divario tra le aliquote dei due Paesi ne depotenzia gli effetti, creando una sorta di “senso unico fiscale”.

Un erede residente in Francia, tassato al 45%, può facilmente assorbire e recuperare il 4% pagato in Italia. Al contrario, un erede residente in Italia, tassato al 4%, non riuscirà mai a recuperare che una minima frazione di quanto versato in Francia. Inoltre, attraverso il sofisticato meccanismo del “tasso effettivo”, la Francia calcola l’aliquota media sull’intero patrimonio mondiale del defunto per poi applicarla ai soli beni di sua competenza. In questo modo, riesce a preservare la sua elevata progressività e a massimizzare il prelievo fiscale, anche in presenza della Convenzione.

 

La disputa tra Italia e Francia non è solo una questione di aliquote, ma un vero e proprio scontro tra filosofie giuridiche (certezza formale contro sostanza di fatto), metodi di valutazione patrimoniale e trattati internazionali la cui applicazione richiede una profonda competenza tecnica per non cadere in trappole onerose.

 

Tassazione successoria in Spagna: variabilità regionale, obbligazione personale e assenza di convenzione con l’Italia

Sistema spagnolo e competenza delle Comunità Autonome

Mentre la contesa sulla residenza del defunto si consuma tra Italia e Francia, un secondo fronte, del tutto indipendente, si apre con l’intervento della Spagna. Qui, le regole del gioco cambiano radicalmente. La pretesa fiscale spagnola non si fonda sulla residenza del de cuius o sulla localizzazione dei beni, ma su un principio cardine del suo ordinamento: “l’obbligazione personale dell’erede”.

Secondo la normativa spagnola, un soggetto fiscalmente residente in Spagna è tenuto a dichiarare e a pagare l’imposta di successione (Impuesto de Sucesiones y Donaciones – ISD) sulla totalità dei beni e dei diritti che riceve in eredità, indipendentemente da dove essi si trovino nel mondo.

Questo significa che, nel nostro caso, il figlio maggiore, avendo stabilito la propria residenza in Spagna, è obbligato per legge a sottoporre a tassazione spagnola l’intera sua quota di patrimonio, inclusi gli immobili e i quadri d’arte situati in Italia e qualsiasi altro asset ereditato.

A rendere questo scenario ancora più insidioso è l’assenza di un paracadute normativo.

 

Tra Italia e Spagna non esiste una convenzione bilaterale contro la doppia imposizione in materia successoria.

 

Il trattato in vigore tra i due Paesi riguarda esclusivamente le imposte sul reddito e non offre alcuna protezione in ambito ereditario. Di conseguenza, il rischio di un doppio prelievo fiscale diventa una quasi certezza. Sebbene la legge spagnola preveda un meccanismo unilaterale di credito per le imposte pagate all’estero, la sua applicazione è restrittiva e spesso insufficiente a coprire l’intero carico fiscale, specialmente a causa delle profonde differenze nei metodi di valutazione patrimoniale.

Ma la vera complessità del sistema spagnolo risiede nella sua straordinaria eterogeneità regionale. L’imposta di successione è, infatti, una competenza ceduta alle diciassette Comunità Autonome, ognuna delle quali ha il potere di modificare aliquote, franchigie e riduzioni, creando un mosaico di regimi fiscali radicalmente diversi.

Si passa da scenari estremamente favorevoli a contesti molto onerosi:

  • La Comunità di Madrid, ad esempio, applica una bonifica del 99% sull’imposta per i parenti stretti, rendendo di fatto la successione quasi esente da tassazione e guadagnandosi la definizione di “paradiso fiscale interno”.
  • Al contrario, regioni come la Catalogna o, storicamente, l’Andalusia, presentano aliquote significativamente più elevate e franchigie ridotte, che possono tradursi in un onere fiscale considerevole.
  • Altre ancora, come le Canarie, hanno introdotto riforme per attrarre residenti, offrendo condizioni molto vantaggiose.

Le franchigie nazionali di base sono:

  • Coniuge e figli: 16.000 euro (nazionale), ma fortemente ampliate in alcunre regioni;
  • Fratelli e sorelle: 8.000 euro (nazionale);
  • Altri parenti: nessuna franchigia o ridottissima.

Questa variabilità significa che l’impatto fiscale sul figlio residente in Spagna non è prevedibile a priori, ma dipende in modo specifico dalla Comunità Autonoma in cui ha stabilito la sua residenza. L’intervento della Spagna, quindi, non solo aggiunge un terzo attore alla contesa, ma introduce un livello di complessità e incertezza che moltiplica i rischi per il patrimonio familiare.

La Convenzione fiscale esistente tra i due Paesi (firmata nel 1977 e modificata nel 2006) riguarda esclusivamente le imposte sul reddito (IRPEF, IRES, imposte sui redditi delle società), ma non copre le imposte di successione e donazione.

Di conseguenza, il figlio residente in Spagna deve:

  • Presentare la dichiarazione di successione in Italia, entro 12 mesi dal decesso, pagando l’imposta italiana su tutto il patrimonio mondiale del de cuius residente in Italia;
  • Presentare la dichiarazione ISD in Spagna entro 6 mesi (prorogabili di ulteriori 6 mesi), pagando l’imposta spagnola su tutto il patrimonio ricevuto, indipendentemente dalla localizzazione.

Il rischio di doppia imposizione è reale e concreto. La normativa spagnola prevede meccanismi unilaterali di credito d’imposta per ridurre la doppia tassazione, permettendo di dedurre le imposte pagate all’estero dall’imposta dovuta in Spagna, ma entro limiti strettissimi e solo per i beni effettivamente situati all’estero e tassati anche in Spagna. Tuttavia, questi meccanismi non risolvono completamente il problema, soprattutto considerando le differenze di calcolo della base imponibile (valore catastale in Italia vs. valore di mercato in Spagna) e le diverse aliquote regionali spagnole.

 

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Analizzati singolarmente, i fronti aperti con la Francia e la Spagna presentano già un elevato grado di complessità. Ma è nella loro simultanea sovrapposizione che si scatena una vera e propria “tempesta perfetta” fiscale e burocratica, un groviglio di pretese concorrenti che minaccia di erodere il patrimonio familiare da più direzioni contemporaneamente. Il rischio, a questo punto, non è più di una semplice doppia imposizione, ma di un assalto multiplo e scoordinato al medesimo asse ereditario.

Di fronte a un labirinto normativo di tale portata, l’improvvisazione non è una strategia, ma una resa.

La complessità dello scenario richiede un approccio strutturato, che si articola su due piani temporali distinti ma interconnessi: la pianificazione proattiva, da attuare quando si è ancora in tempo per definire le regole del gioco; la gestione reattiva, da implementare a successione aperta per governare la crisi.

 

La tutela più efficace di un patrimonio internazionale si costruisce nel tempo, attraverso scelte consapevoli e documentate. Agire preventivamente significa erigere difese solide contro future contestazioni.

 

Il primo passo è una valutazione rigorosa della residenza fiscale effettiva. Non basta l’iscrizione anagrafica; è necessario costruire un fascicolo probatorio che documenti in modo inoppugnabile dove si trovi il vero “centro degli interessi vitali” della persona. Questo include la raccolta di contratti, utenze, documentazione sugli spostamenti e ogni elemento utile a dimostrare la prevalenza dei legami familiari, sociali ed economici con un solo Stato, neutralizzando così le pretese basate sul mero domicilio di fatto.

Parallelamente, è essenziale definire un quadro giuridico chiaro per la successione. La redazione di un testamento internazionale, che sfrutti la facoltà di scelta della legge applicabile (professio iuris) prevista dal Regolamento UE 650/2012, può ridurre drasticamente i conflitti e semplificare la devoluzione del patrimonio. Inoltre, in contesti di elevata complessità, è opportuno valutare l’utilizzo di strumenti di pianificazione patrimoniale più evoluti, come la costituzione di un Trust o di una Holding di famiglia.

Questi strumenti permettono di segregare gli asset, proteggerli da pretese concorrenti e pianificarne la trasmissione secondo regole precise e fiscalmente ottimizzate, previa un’attenta analisi delle loro implicazioni in ciascuna giurisdizione coinvolta.

 

Quando la successione si apre senza un’adeguata pianificazione alle spalle, la strategia si sposta sulla gestione meticolosa della crisi. L’obiettivo diventa mitigare i danni e difendere il patrimonio con ogni strumento disponibile.

 

L’operatività richiede un coordinamento impeccabile a livello internazionale. È indispensabile presentare tempestivamente le dichiarazioni fiscali in ciascun Paese, rispettando le diverse e perentorie scadenze per evitare sanzioni.

Questo processo implica un lavoro di estrema precisione: calcolare le basi imponibili secondo le regole specifiche di ogni ordinamento (valore catastale in Italia, valore di mercato in Francia e Spagna), applicare le corrette aliquote e, soprattutto, documentare e richiedere ogni credito d’imposta disponibile, sia esso previsto da convenzioni bilaterali o da meccanismi unilaterali.

Allo stesso tempo, si attiva la fase difensiva. È necessario raccogliere e organizzare tutta la documentazione utile a sostenere la tesi della residenza fiscale prevalente del defunto in Italia, per confutare le pretese francesi. In caso di accertamenti, si deve essere pronti a intraprendere un contenzioso tributario, avvalendosi di consulenti locali specializzati in ciascuna giurisdizione.

La gestione di una successione così complessa non è un atto singolo, ma un progetto articolato che richiede la collaborazione sinergica di un team di esperti in Italia, Francia e Spagna, capaci di dialogare tra loro e con le rispettive amministrazioni fiscali.

 

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