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Qual è il rapporto tra sostenibilità aziendale e accesso al credito?

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Qual è il rapporto tra sostenibilità aziendale e accesso al credito?

La sostenibilità viene spesso descritta come un onere gravoso o un lusso accessibile solo alle grandi realtà, capace di rallentare la corsa alla competitività delle aziende italiane.

Questa narrazione ha radici profonde e alimenta una certa diffidenza da parte di molti imprenditori italiani ancora divisi tra chi abbraccia il cambiamento con convinzione e chi preferisce restare alla finestra in attesa di tempi migliori.

La realtà che emerge dalle analisi più recenti racconta una storia molto diversa, in cui la transizione ecologica e sociale smette di essere una semplice voce di costo per trasformarsi in una potente leva di sviluppo economico.

 

I dati confermano che integrare i criteri ESG nelle strategie aziendali genera un aumento della produttività e migliora la solidità finanziaria dell’organizzazione,.

 

Non si tratta più soltanto di una scelta etica o di immagine, ma di una precisa strategia industriale che le banche e gli investitori premiano con canali di finanziamento privilegiati e una maggiore fiducia. Guardando oltre le resistenze culturali, si nota che la scelta responsabile rappresenta l’unica via per garantire continuità e crescita al proprio business, in un mercato che premia la trasparenza e punisce l’immobilismo.

 

Sostenibilità e valore economico

La scelta responsabile che premia i bilanci

I dati disponibili (ampiamente descritti nei Rapporti dell’ASviS 2025) mostrano in modo evidente che la transizione ecologica e digitale consente alle aziende di aumentare la produttività e migliorare le proprie condizioni finanziarie.

Secondo l’ISTAT, la percentuale di imprese che hanno scelto la sostenibilità è del 34,5%, nelle aziende con 3-9 collaboratori e collaboratrici; la percentuale sale fino al 73,8% in quelle con 250 o più dipendenti. La propensione alla sostenibilità è nettamente più elevata nell’industria in senso stretto che nei servizi e nelle grandi imprese (89,6%) rispetto alle microimprese (46,3%).

Come emerge dai dati CDP, le pratiche di economia circolare hanno generato risparmi superiori ai 16 miliardi di euro, permettendo alle aziende di liberare risorse per nuovi investimenti e ridurre l’indebitamento.

Secondo THEA, per il 92% delle imprese familiari e per l’89% delle imprese non familiari, integrare la sostenibilità comporta evidenti benefici. 

Per quanto riguarda le imprese manifatturiere italiane risultano più preparate ad affrontare le conseguenze della transizione, rispetto alle loro omologhe europee. In questo senso, solo il 21% (percentuale inferiore rispetto alle media europea che si attesta attorno al 36%) delle aziende italiane indica l’inasprimento degli standard e delle normative climatiche come un rischio.

Sulla base dei dati del censimento continuo delle imprese manifatturiere con più di 10 dipendenti, l’ISTAT rileva una chiara relazione positiva tra l’adozione di pratiche di sostenibilità nel triennio 2017-2018 e la crescita economica nel triennio 2019-2022.

Esiste, inoltre, una chiara relazione positiva tra l’adozione di queste pratiche e la crescita economica, poiché un profilo di sostenibilità alto porta a un aumento del valore aggiunto pari al 16,7%, staccando nettamente le imprese rimaste immobili; un profilo di sostenibilità medio raggiunge il 15%, se confrontato con le imprese non sostenibili.

Purtroppo, come emerge dai dati, appartiene al primo gruppo solo il 7,1% delle imprese analizzate, al secondo gruppo il 36,2% e ben oltre il 56,7% al terzo gruppo.

Non stupisce, quindi, che per la quasi totalità delle imprese familiari l’integrazione di questi principi comporti vantaggi evidenti e che, inoltre, il settore manifatturiero italiano si senta oggi più preparato rispetto ai competitor europei nel fronteggiare gli standard climatici percepiti come un rischio solo da una minoranza degli operatori nazionali.

Quindi, se l’impegno per la sostenibilità determina una significativa accelerazione del valore aggiunto, è indispensabile allargare il più possibile il numero di imprese che intraprendono questo percorso trasformativo.

 

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Qual è il ruolo delle associazioni di imprenditori?

Questa trasformazione del sistema economico richiede uno sforzo corale che coinvolge non solo le singole imprese o il sistema bancario, ma anche le grandi organizzazioni di rappresentanza chiamate a guidare il cambiamento. La conferma di questa volontà comune è arrivata il 24 novembre 2025, durante l’ultimo ASviS Live dedicato alla discussione del Rapporto 2025, quando dieci importanti associazioni imprenditoriali hanno deciso di riaffermare con forza il proprio impegno per la transizione ecologica. Si tratta di realtà come Alleanza delle Cooperative Italiane, Confagricoltura, Confartigianato, Imprese CIA-Agricoltori Italiani, Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa, Confcommercio, Confindustria, Federazione Banche Assicurazioni e Finanza Unioncamere e Utilitalia.

Queste organizzazioni hanno chiesto al Governo un chiaro cambio di passo nelle politiche per la sostenibilità, impegnandosi parallelamente a intraprendere una serie di azioni concrete che vanno dalla promozione dei nuovi modelli di business all’incoraggiamento verso pratiche volontarie di rendicontazione non finanziaria, fino all’utilizzo sempre più diffuso della finanza sostenibile.

Se la sostenibilità si dimostra un impegno vantaggioso capace di trasformare i presunti costi in investimenti con ritorni anche rapidi, diventa indispensabile spingere l’intero tessuto produttivo in questa direzione, allargando il più possibile il numero di imprese che intraprendono questo percorso trasformativo.

Andando oltre le richieste legittime rivolte alla politica, anche le associazioni di imprenditori devono intensificare gli sforzi per combattere le distorsioni cognitive ancora presenti, mostrando agli associati che scegliere lo sviluppo sostenibile rappresenta l’unica strada percorribile.

 

I dati e le testimonianze raccolte dimostrano che lo sviluppo sostenibile è un’ottima scelta dal punto di vista economico, sociale e ambientale.

 

Qual è il rapporto tra sostenibilità e credito?

I dati sul rischio di default

L’evidenza del beneficio garantito da un percorso virtuoso emerge con chiarezza consultando le statistiche finanziarie, secondo cui le aziende attente alle pratiche di sostenibilità mostrano una probabilità di default decisamente più contenuta. I finanziamenti concessi a imprese con un’elevata adeguatezza ESG presentano, infatti, un tasso di default inferiore di circa il 25,3% rispetto alla media.

Un report del 2023 segnalava già come, per le PMI con un alto profilo ESG, i tassi di default risultassero fino al 34% sotto la media, mentre quelle con un punteggio molto basso registravano una rischiosità superiore dell’11%, confermando che un buon posizionamento riduce sia la probabilità di insolvenza (PD) che la perdita in caso di default (LGD), migliorando la qualità delle valutazioni di merito creditizio.

Questa tendenza trova ulteriori conferme nell’Osservatorio annuale presentato da CRIF in occasione dei Tomorrow Speaks 2025, che basa la sua analisi su un patrimonio dati di oltre 150 indicatori e non su un semplice punteggio pubblico. I flussi di finanziamento verso le PMI con uno score elevato registrano un tasso di default inferiore di oltre il 20% rispetto alla media; si nota altresì un progressivo consolidamento del sistema produttivo, dato che la quota di imprese classificate a elevato rischio di transizione è diminuita di 6,6 punti percentuali a fronte di un aumento parallelo tra i 9 e i 10 punti per quelle a rischio basso o moderato.

Anche lo studio di Cerved Rating Agency, citato nell’articolo Le Pmi sostenibili hanno un rischio di default 5 volte inferiore, segnalava che le imprese con migliori performance risultano “anche le più solide”. Su un campione di circa 18.000 società analizzate, è emerso che le PMI sostenibili possiedono una probabilità di default da 2 a 5 volte inferiore rispetto a quelle con un profilo debole.

Siamo di fronte a un nuovo equilibrio tra credito e rischi che ha portato nel 2024 il 70,5% delle grandi imprese a collocarsi nelle due classi più alte di score ESG, con un miglioramento di ben 24 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Di conseguenza, circa il 76% dei finanziamenti complessivi ha riguardato aziende con un’elevata adeguatezza segnando un aumento di circa 23 punti percentuali.

Il trend investe in modo positivo anche le realtà minori, poiché le PMI con livelli di adeguatezza elevati sono salite al 43% del totale e la distribuzione del credito riflette questo cambiamento con il 39% dei finanziamenti andati a piccole e medie imprese sostenibili, rispetto al 25% registrato nel 2023.

 

Qual è la risposta dei settori produttivi?

Un ulteriore elemento che incide profondamente sul posizionamento aziendale è la rendicontazione non finanziaria, strumento strategico determinante per migliorare il proprio rating.

I dati indicano chiaramente che il 77,6% delle aziende che pubblicano un report di sostenibilità riescono a collocarsi nelle classi di adeguatezza più elevate. Questo dato, però, stride fortemente con il 46% registrato tra le imprese che non redigono alcun documento di questo tipo.

La differenza diventa ancora più netta osservando la parte bassa della classifica, dove meno del 4% delle realtà che rendicontano presenta uno score basso o molto basso a fronte del 25% di quelle meno trasparenti. Questo meccanismo virtuoso coinvolge sia le grandi aziende soggette alla direttiva europea CSRD (la Direttiva UE oggetto di revisione dell’ambito del pacchetto Omnibus, ora al vaglio del trilogo: Commissione, Parlamento e Consiglio UE), sia le realtà più piccole che scelgono la via della rendicontazione volontaria per distinguersi sul mercato e accedere a migliori condizioni.

Questa dinamica riflette una consapevolezza profonda del tessuto imprenditoriale come sottolinea Marco Macellari CEO di Crif Synesgy Ratings, società tecnologica fondata come spin-off di Crif Spa (partner strategico delle aziende per la trasformazione ESG).

“I dati – ha spiegato Marco Macellari – mostrano come la sostenibilità sia ormai entrata nelle strategie aziendali e finanziarie delle imprese che stanno rafforzando la propria consapevolezza. Una spinta dovuta inizialmente alla serie di normative UE su imprese e intermediari finanziari, che hanno promosso il cambiamento culturale ormai in atto”.

Analizzando i diversi comparti economici del nostro Paese si nota un miglioramento diffuso del profilo di sostenibilità rispetto all’anno precedente, anche se con velocità differenti.

In testa alla classifica si posizionano settori come l’ITC, i media, le telecomunicazioni, la meccanica strumentale, il tessile e l’arredamento che hanno saputo beneficiare, come ha fatto notare Marco Macellari, maggiormente degli investimenti in tecnologie efficienti e digitalizzazione.

Fa eccezione il comparto agricolo che vede peggiorare la propria performance a causa delle oggettive difficoltà, come ha evidenziato il CEO di Crif Synesgy Ratings nel ridurre le emissioni e nell’adottare pratiche più sostenibili in tempi rapidi.

 

Quali sono i nuovi modelli di valutazione delle banche?

Le banche giocano un ruolo chiave nella promozione di una cultura della sostenibilità. 

L’integrazione dei fattori ESG nei loro processi decisionali rappresenta un’occasione per un salto di qualità nella gestione del rischio e nei rapporti con la clientela e con il territorio.

Sulla base di quanto creato fino ad oggi Raffaele Barteselli, Head of Transition & Sustainability di Banco Bpm, ha spiegato che si prospetta una completa evoluzione della relazione con il cliente, portando il sistema banca a considerare sempre più le componenti di sostenibilità e innovazione accanto a quelle finanziarie patrimoniali ed economiche.

Il lavoro, secondo Barteselli, non deve fermarsi, perché occorre insistere sempre più sulla componente sociale, in quanto solo così si potranno valutare appieno gli effetti sul benessere delle persone delle comunità e dei territori.

Anche Claudio Briante, Project Portfolio Manager ESG e Sostenibilità di Crédit Agricole Italia, ha spiegato che nel contesto attuale il rischio fisico è divenuto un tassello fondamentale nella valutazione efficace del merito creditizio.

Grazie all’integrazione dei criteri ESG, la banca ha raggiunto una copertura maggiore delle diverse tipologie di rischio, portando valore aggiunto al cliente anche attraverso un servizio customizzato in base alle sue caratteristiche.

Si tratta di un processo articolato che impatta la fase di concessione del credito e si estende all’attività continuativa di monitoraggio e reporting portando, secondo Briante, a un importante salto di qualità nella valutazione del credito e nello sviluppo della relazione.

A tracciare un bilancio delle azioni intraprese da Banca AideXa è stato Giovanni Beninati, Vicedirettore Generale Chief Risk & Compliance Officer, ricordando che nel 2023 l’istituto ha avviato il progetto Piano d’azione ESG con un focus specifico sulle PMI.

Questa iniziativa, attiva fino al 2027, ha già portato all’analisi del portafoglio e della rete di fornitori, permettendo di quantificare il rischio ESG e definire indicatori e soglie di allerta per il monitoraggio dei KPI mensili. Tra gli altri obiettivi figurano l’individuazione di un modello organizzativo efficace, l’integrazione dei dati ESG nei modelli di accettazione e la revisione dell’informativa al pubblico per finalità di disclosure.

Anche Banca Agricola Popolare di Sicilia ha avviato un processo di integrazione dei criteri ESG nei modelli decisionali operativi e strategici, come fatto notare da Salvatore Pappalardo, Chief Lending Officer. L’istituto sta integrando nei sistemi dati e modelli avanzati per la valutazione del rischio fisico e catastrofale che permettono di analizzare l’esposizione degli immobili e delle imprese a eventi climatici estremi con indicatori geolocalizzati e monetizzati, consentendo di anticipare impatti potenziali e rafforzare la resilienza del portafoglio. La banca ha sviluppato un sistema proprietario di qualificazione, basato su parametri ambientali sociali e di governance, al fine di valorizzare le realtà più virtuose e orientare il credito verso modelli di sviluppo sostenibile, contribuendo alla riduzione del rischio di default.

Questa scelta strategica permette di coniugare solidità finanziaria e impatto positivo sul territorio ma l’impegno va oltre la tecnologia, puntando a costruire una cultura diffusa che coinvolge tutte le funzioni dal credito alla compliance, fino al risk management e alla pianificazione strategica.

 

Alla luce di quanto emerso appare evidente che la sostenibilità rappresenta la scelta responsabile per eccellenza, anche sotto il profilo strettamente economico.

 

Superare le distorsioni cognitive e narrative ancora presenti diventa, dunque, un imperativo per mostrare agli imprenditori che, abbracciare lo sviluppo sostenibile, garantisce prosperità e solidità nel lungo periodo, oltre a numerosi plus etici, sociali e ambientali.

 

Foto del profilo di Piero di Bello
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