Entro il prossimo 30 settembre, le imprese che hanno usufruito del credito di imposta ricerca e sviluppo, relativamente a spese effettuate nel periodo 2015-2019, potranno decidere di riversarlo, senza aggravio di interessi e sanzioni e ottenendo così anche la non punibilità per il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, previsto dall’art. 10-quater, D.Lgs. 74/2000.
Il credito può essere riversato, a certe condizioni, anche in forma rateale, con tre rate annuali di pari importo in scadenza nel dicembre 2022, 2023 e 2024.
La procedura di riversamento è riservata, secondo la legge, esclusivamente ai crediti afferenti a costi relativi a progetti effettivamente svolti ma che, in buona sostanza, non risultano agevolabili per errori formali (legati, ad esempio, alla quantificazione della media storica dei costi R&S) o perché relativi a progetti non in linea con i requisiti di innovatività, come previsti dal Manuale di Frascati dell’OCSE e dalle variegate interpretazioni dell’Agenzia delle Entrate.
Occorre precisare, inoltre, che restano escluse dalla procedura di riversamento tutte le fattispecie oggetto di condotte ritenute dal Fisco fraudolente o simulate.
L’eventuale condotta fraudolenta, si badi bene, può essere contestata dall’Agenzia delle Entrate anche dopo la presentazione della richiesta di riversamento; in questo caso i benefici della procedura non si applicano e le somme versate dal contribuente vengono trattenute dall’Agenzia a titolo di acconto sul futuro accertamento.
Ciò detto, in queste settimane, e proprio in vista della scadenza del prossimo 30 settembre, stiamo assistendo a un vero e proprio uragano di lettere di invito alla compliance che si sta abbattendo sulle imprese italiane che hanno usufruito del credito di imposta.
Tramite queste lettere l’Agenzia delle Entrate sta suggerendo il riversamento a tutte le imprese che, sulla base di valutazioni automatiche legate, ad esempio, all’assenza di costi di ricerca e sviluppo nel triennio 2012-2014 (precedente al primo anno agevolato, ovvero il 2015) non sarebbero state in grado di effettuare, secondo il Fisco, progetti di tipo realmente innovativo.
All’invio delle lettere di invito alla compliance, poi, si associa anche la pubblicazione di risoluzioni e risposte da parte dell’Agenzia delle Entrate con cui si restringe sempre più l’interpretazione del Fisco della nozione di innovatività, ai fini della fruizione del credito ricerca e sviluppo. È il caso, ad esempio, della risoluzione 41/E del 26 luglio 2022, con cui l’Agenzia ha notevolmente ristretto l’ambito di applicazione del credito ricerca e sviluppo per le imprese manufatturiere, anche rispetto a precedenti di prassi propri del Ministero dello Sviluppo Economico.
In questo scenario, piuttosto “preoccupante” per le imprese che abbiano usufruito del bonus, si rilevano comunque squarci di luce se si guarda alla decisioni dei giudici tributari che si sono espressi finora.
Vi sono,infatti, già diverse sentenze di commissioni tributarie (provinciali e regionali) che hanno annullato gli atti di recupero con cui l’Agenzia delle Entrate disconosceva la spettanza dei crediti di imposta per ricerca e sviluppo (oltre a comminare le sanzioni amministrative tributarie, che possono arrivare al 100% del credito), ritenendo tali atti viziati da eccesso di potere o, comunque, non fondati nel merito.
In particolare, come accennato, l’Agenzia delle Entrate, sulla base della propria prassi e dei richiami al Manuale di Frascati dell’OCSE, tende a disconoscere con molta facilità il carattere innovativo di un dato progetto di ricerca e sviluppo, sostenendo – nella maggioranza dei casi – che il progetto non abbia introdotto nuove conoscenze nel mercato in generale, ma si sia limitato semplicemente ad aggiornare o customizzare un dato prodotto o servizio.
Ad ogni modo, già in diversi casi (alcuni anche patrocinati dal nostro studio), i giudici tributari hanno dato ragione alle imprese contribuenti, sostenendo che i funzionari dell’Agenzia delle Entrate non abbiano le conoscenze tecniche per valutare l’innovatività (o meno) di un progetto di ricerca e sviluppo, dovendo richiedere, a tal proposito, uno specifico parere al Ministero dello Sviluppo Economico, in mancanza del quale la pretesa tributaria è (quantomeno) non adeguatamente dimostrata.
Alla luce del quadro brevemente delineato, dunque, è elevato il rischio che la procedura di riversamento non raccolga molti consensi fra le imprese, le quali, forti delle proprie ragioni fondate senz’altro su valutazioni tecniche complesse, effettuate tenendo conto delle posizioni dell’Agenzia delle Entrate espresse al tempo di realizzazione del progetto, potrebbero preferire il rischio di un accertamento, da contestare in giudizio, alla prospettiva di restituire il credito di imposta.