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Storia dell’imposta di Successione in Italia dal 1704 ad oggi

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Storia dell’imposta di Successione in Italia dal 1704 ad oggi

Sono circa 70 i provvedimenti che si sono succeduti dall’Unità d’Italia ad oggi: si tratta di interventi disciplinanti la tassazione dei beni ereditari.

Il moderno prelievo sulle successioni nacque nel 1704 in Francia e tale esempio francese fece scuola in Italia durante tutto il periodo napoleonico. Dopo la restaurazione, sei Stati preunitari su sette avevano adottato un’imposta che si ispirava a quella francese, ad eccezione del Regno delle Due Sicilie dove c’erano diritti fissi sui testamenti. Con l’Unità d’Italia si estese a tutto il Paese il sistema piemontese, considerato il più oneroso di tutti, perché colpiva tutto il nucleo familiare.
La Legge n. 585 del 1862 subì modifiche nel 1866 con il Regio Decreto 3121. Da allora si sono susseguiti circa settanta provvedimenti dall’Unità d’Italia ad oggi.

Le tre tipologie di tributi

In questi 150 anni ci sono stati tre tipi di tributi: alla forma di prelievo sulle singole quote degli eredi si è aggiunta, nel 1942, l’imposta applicata all’intera eredità prima della divisione in quote. Le due imposte sono state fuse in una sola con il DPR n. 637 del 1972: il prelievo sul valore globale era l’unico dovuto fra coniugi e parenti in linea retta. La Legge n. 342 del 2000 ha ripristinato la sola imposta sulle quote, che è stata abolita per coniugi e parenti fino al 4° grado e successivamente reintrodotta nel 2006.

La tassa successoria complementare, che colpiva i beni devoluti a eredi in linea collaterale o non imparentati, ebbe vita breve dal 1919 al 1923. Con il RD n. 3270 del 1923 fu reintrodotta la progressività per scaglioni e fu stabilita l’esenzione per tutti i trasferimenti tra coniugi, in linea retta e fra parenti fino al terzo grado compreso. La politica fascista limitò l’esenzione ai trasferimenti all’interno dei nuclei familiari con più di un figlio e poi introdusse un complicato sistema di maggiorazioni e riduzioni collegate al numero di figli del de cuius e degli eredi ed anche allo stato civile. Nel secondo dopoguerra furono eliminati i meccanismi demografici e l’esenzione nel nucleo familiare. Nell’anno 2000 si tornò ad un prelievo proporzionale con un’esenzione di 350 milioni di lire per erede. Nel 2007 sono state ripristinate le aliquote, con l’esenzione a 1 milione per erede.

I criteri di valutazione

I criteri di valutazione sono stati ispirati al principio del valore commerciale, ma con diverse eccezioni.

Dal 1862 al 1866 per gli immobili furono adottati il valore locativo pari a 20 volte l’affitto netto e poi un valore automatico dall’anno 1866 al 1874. Dopo tentativi di semplificazioni amministrative sono state adottate tabelle provinciali e fissato un minimo imponibile.

Per i titoli si ricorre a valori di mercato desumibili dai listini, con l’eccezione dei titoli di Stato. I beni mobili personali sono sempre stati valutati a forfait come percentuale del restante attivo ereditario. La percentuale è passata dal 3% al 10%.

L’imposta di successione oggi

Oggi tutti gli eredi del de cuius sono soggetti a tassazione ed hanno l’obbligo di presentare la dichiarazione di successione. Le aliquote e le franchigie per l’imposta sulle successioni e donazioni sono previste dall’art. 2, c. 48, del D.L. 262/2006, e precisamente:

  • 4%, per i trasferimenti effettuati in favore del coniuge o di parenti in linea retta (ascendenti e discendenti) sul valore complessivo netto, eccedente per ciascun beneficiario, la quota di 1 milione di euro;
  • 6%, per i trasferimenti in favore di fratelli o sorelle da applicare sul valore complessivo netto, eccedente per ciascun beneficiario, 100.000 euro;
  • 6%, per i trasferimenti in favore di altri parenti fino al quarto grado, degli affini in linea collaterale fino al terzo grado, da applicare sul valore complessivo netto, senza alcuna franchigia;
  • 8%, per i trasferimenti in favore di tutti gli altri soggetti da applicare sul valore complessivo netto, senza alcuna franchigia.

Si ricorda che vi è una franchigia, pari ad 1,5 milioni di euro, per i trasferimenti effettuati in favore di soggetti portatori di handicap, riconosciuto grave ai sensi della legge n.104 del 1992.

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