La sentenza del 15 febbraio 2024 emessa dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) nel caso “Jarre c. Francia” ha sollevato importanti questioni nell’ambito delle successioni internazionali e del diritto ereditario italiano, ponendosi in netto contrasto con la normativa italiana.
Quanto deliberato ha acceso i riflettori sul concetto di “quota di riserva”, un principio cardine del diritto ereditario in Italia, ma non ancora riconosciuto e tutelato in molte giurisdizioni internazionali.
La successione ereditaria in Italia
La legge sulla successione, in Italia, stabilisce norme rigorose per proteggere gli eredi necessari, ossia i coniugi, i figli e, in loro assenza, i genitori e i fratelli del defunto.
La legislazione italiana impone che una porzione del patrimonio debba essere destinata agli eredi, a prescindere dalle disposizioni testamentarie.
La parte per gli eredi, la cosiddetta “quota di riserva”, non può essere modificata o esclusa dalla volontà del testatore, che può disporre liberamente solo dalla parte restante del patrimonio, nota come “quota disponibile”.
L’obiettivo di questa normativa è quella di garantire che i familiari e i dipendenti del defunto non rimangano privi di mezzi di sostentamento. Sebbene tale sistema sia valorizzato per la sua importante funzione sociale, è anche criticato poiché considerato una restrizione alla libertà individuale nella gestione del patrimonio.
La sentenza della CEDU e la pianificazione patrimoniale
La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo conferma le decisioni precedenti, come nel caso “Marck c. Belgio”, ossia che non esiste un diritto universale e incondizionato all’eredità. La “quota di riserva”, principio cardine del diritto successorio italiano, non è riconosciuta in altri Paesi. Dunque, se un soggetto individua la propria “residenza abituale” in un altro Paese, potrebbe aggirare e superare i limiti imposti dal diritto italiano. Pur essendo una scelta che potrebbe rivelarsi essere vantaggiosa, comporta lo stravolgimento e il cambiamento del modus vivendi e della quotidianità del soggetto che vuole tutelare e disporre liberamente del proprio patrimonio.
Le giurisdizioni internazionali
Guardando oltre i confini italiani, si nota che la situazione è diversa. Molte giurisdizioni, principalmente al di fuori dell’Unione Europea, adottano un approccio più flessibile, aperto e permissivo.
Negli Stati Uniti, la maggior parte degli Stati non impone una quota obbligatoria riservata agli eredi, eccezion fatta per alcune disposizioni che riguardano il coniuge superstite. In questi casi, se non vi è un accordo prematrimoniale che stabilisce diversamente, il coniuge potrebbe aver diritto a una parte del patrimonio, anche se la legge non garantisce una protezione specifica per i figli. In America, non di rado si stipulano i patti matrimoniali che regolano la divisione dei beni in caso di morte.
In Regno Unito la legge non prevede una quota riservata per gli eredi. Ciononostante, i familiari o altre persone a carico del defunto possono contestare il testamento, se considerano non adeguato il sostentamento a loro destinato.
In Sudafrica, la legge permette al testatore di disporre liberamente del proprio patrimonio senza dover riservare necessariamente una parte ai figli.
Paesi come Hong Kong e Singapore seguono un modello di libertà testamentaria, permettendo ai testatori di disporre dei propri bene senza alcun vincolo legale che impone di riservarne una parte ai figli. In Giappone è prevista una “quota legittima” per gli eredi, pur concedendo un grado di flessibilità che consente al testatore di avere un certo margine nella distribuzione del patrimonio.
In Australia non esiste la “quota di riserva” obbligatoria per i figli, ma i familiari possono rivolgersi al tribunale se ritengono di essere stati trascurati nel testamento. Anche in Canada le volontà testamentarie sono rispettate, ma vi è la possibilità di ricorsi in particolari casi. In Nuova Zelanda i figli non godono di una quota riservata obbligatoria, ma possono contestare il testamento se lo ritengono ingiusto e non equo.
La residenza abituale nelle successioni internazionali
Le successioni che coinvolgono più Paesi possono rivelarsi essere davvero complesse. In questi casi, la determinante è costituita dalla “residenza abituale”.
Secondo il Regolamento UE 650/2012, che regola le successioni transfrontaliere nell’Unione Europea, si deve applicare e rispettare la legge del Paese in cui il defunto risiedeva.
La “residenza abituale” si riferisce al centro della vita del defunto e considera fattori come il luogo di lavoro, i legami familiari, la partecipazione sociale e culturale.
Per molti italiani, la possibilità di cambiare la “residenza abituale” rappresenta un’ottima strategia di pianificazione patrimoniale. Trasferendosi in un Paese con leggi più flessibili, è possibile evitare le stringenti norme che caratterizzano il sistema italiano.
La libertà successoria
La sentenza della CEDU rappresenta un importante sviluppo nel panorama delle successioni internazionali. La strada verso la pianificazione patrimoniale ottimale richiede attenzione, conoscenza della materia ed esperienza.
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