Negli ultimi anni, alcuni pseudo-professionisti hanno promosso l’idea che trasferire quote societarie in un Trust estero possa “far sparire” i redditi prodotti in Italia, aggirando così l’imposizione fiscale. Una strategia presentata come innovativa e vantaggiosa, capace di attirare l’attenzione di imprenditori alla ricerca di soluzioni per alleggerire la pressione tributaria.
La sentenza n. 9096 del 7 aprile 2025 della Corte di Cassazione segna un punto di svolta. Infatti, il tentativo di utilizzare un Trust estero come strumento di elusione è destinato a fallire quando il controllo effettivo resta in Italia.
Oggi gli organi di controllo dispongono di strumenti normativi e tecnologici in grado di monitorare con precisione le movimentazioni finanziarie ben oltre i confini nazionali, ricostruendo la sostanza economica al di là della forma giuridica. E quando questo accade, il conto può essere molto salato.
In un Paese in cui la tassazione complessiva può raggiungere il 62%(intesa come totale tassazione di società e persona fisica), è comprensibile che un imprenditore cerchi modi per ottimizzare il proprio carico fiscale e diversificare la strategia fiscale con vari strumenti. Ma è altrettanto vero che esistono soluzioni legali e trasparenti per avere una global tax a livelli inferiori al 27%, senza rischiare accertamenti o sanzioni.
Sono gli imprenditori a ignorare queste opzioni, o sono alcuni consulenti a non essere aggiornati, restando aggrappati a società e Trust all’estero?
Con la sentenza n. 9096 depositata il 7 aprile 2025, la Corte di Cassazione interviene su un caso emblematico, chiarendo definitivamente i limiti di utilizzo dei Trust esteri nella pianificazione fiscale degli imprenditori residenti in Italia. Il ricorso, presentato da un contribuente che contestava gli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate, è stato dichiarato inammissibile, confermando integralmente le decisioni dei due gradi di merito precedenti.
Secondo la Corte, mancavano gli elementi giuridici e probatori per rivedere il giudizio di merito. La documentazione allegata al ricorso non introduceva fatti nuovi né confutava in modo credibile le risultanze già emerse. Inoltre, le argomentazioni difensive sono apparse generiche, confuse e prive di un reale ancoraggio normativo, rendendo impossibile una valutazione alternativa del caso.
Ma l’aspetto centrale della decisione è un altro: la Cassazione ha riconosciuto la natura fittizia del Trust estero, ritenendo che il contribuente, pur formalmente separato dalla gestione, esercitasse un controllo sostanziale e direttosull’intero impianto patrimoniale, pilotando di fatto le decisioni del Trustee.
Questo orientamento è coerente con i principi consolidati della giurisprudenza tributaria italiana, secondo cui la residenza fiscale e la titolarità effettiva dei redditi prevalgono su ogni costruzione giuridica artificiosa, anche se formalmente costituita all’estero.
Quando il controllo resta in Italia, anche il reddito resta in Italia e il Fisco è legittimato a recuperare quanto dovuto.
Per comprendere appieno il significato della sentenza, è utile analizzare i fatti di causa, ricostruiti con nomi di fantasia ma su elementi realmente accertati.
Luca Ferraris, imprenditore italiano, nel 2007 si affida a un team di consulenti “creativi” che gli propone un’operazione sofisticata: trasferire le proprie azioni in un Trust costituito nel Regno Unito, il Blue Horizon Trust, con lo scopo di schermare i dividendi generati da una società italiana operativa, la ItalEnergia S.r.l.
Quest’ultima era stata acquistata tramite una holding svizzera, la Alpine Holding SA, controllata dallo stesso Trust.
L’obiettivo principale della mossa è di garantire che i dividendi provenienti da ItalEnergia S.r.l. tornino a favore di Alpine Holding, mantenendo al contempo la transazione al di fuori dei radar dell’IRPEF.
Formalmente, il Blue Horizon Trust viene presentato come “irrevocabile” e “indipendente”, ma nella pratica emerge una realtà molto diversa. Ferraris, infatti, continua a impartire istruzioni al Trustee tramite e-mail riservate e fax spediti direttamente dall’ufficio di casa. Un comportamento che rivela una gestione tutt’altro che autonoma e che contraddice l’impostazione formale del Trust.
La vicenda mette in luce una profonda discrepanza tra forma e sostanza. Dietro la struttura apparentemente lecita e ben congegnata, si cela una volontà precisa di mantenere il pieno controllo sull’operazione e sui flussi finanziari, pur cercando di evitarne la tassazione in Italia.
Questa illusione di indipendenza, costruita sulla carta ma smontata dai fatti, ha portato la Corte a ritenere che il Trust non fosse altro che un guscio vuoto, privo di reale autonomia e trasparenza.
Il comportamento di Ferraris ha sollevato seri dubbi sulla correttezza dell’uso del veicolo fiduciario e sulla buona fede dell’intera operazione.
Un caso esemplare, che mostra come l’apparente distanza tra imprenditore e patrimonio non regga alla prova dei fatti se, in concreto, il controllo è ancora saldamente in mano al Disponente.
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Nel confermare i due gradi di merito, la Corte di Cassazione ha evidenziato una serie di elementi che dimostrano come il Trust istituito da Ferraris fosse privo di sostanza economica e finalizzato esclusivamente a ottenere un indebito vantaggio fiscale, dunque considerando inammissibile il ricorso.
La decisione si basa su una serie di considerazioni giuridiche che sottolineano l’assenza di elementi sufficienti per la revisione della causa.
È stato anche evidenziato come la documentazione presentata non abbia apportato nuove prove significative che potessero giustificare un diverso esito.
Inoltre, la Corte di Cassazione ha ritenuto che le argomentazioni fornite da Ferraris non fossero in grado di mutare il quadro complessivo del procedimento già esaminato.
Vediamo più nel dettaglio.
Gli avvocati di Ferraris hanno presentato motivi di ricorso confusi, privi di riferimenti giuridici precisi e scarsamente strutturati. Durante la discussione in aula, le argomentazioni sono apparse più come tentativi di distrarre l’attenzione dalla sostanza del problema, piuttosto che come vere contestazioni fondate. Una strategia inefficace, che ha lasciato la difesa senza una linea coerente e ha reso ancora più evidenti le carenze strutturali del caso.
La Corte di Cassazione ha ritenuto determinanti alcuni fatti oggettivi: il numero di fax inviati direttamente da Ferraris al Trustee, il suo ruolo di beneficiario economico diretto e la facoltà di modificare i beneficiari ad nutum, ovvero a suo piacimento. Tutti questi elementi dimostrano che il Trust era una mera costruzione formale, utilizzata per mascherare una situazione di pieno controllo, senza che vi fosse una reale separazione patrimoniale. Nessuna traccia, dunque, di un’effettiva protezione fiduciaria o di un intento genuino di trasferire la gestione a un soggetto terzo.
Il principio applicato dalla Corte di Cassazione è chiaro e già ben radicato nella giurisprudenza fiscale italiana. In presenza di un controllo sostanziale da parte di un soggetto residente, i redditi prodotti tramite un Trust sono imputabili a quest’ultimo, ai sensi dell’art. 73 del TUIR e dell’art. 37 del DPR 600/1973. Ciò significa che, qualora ci sia una verifica approfondita delle transazioni e delle attività da parte delle autorità fiscali, i redditi saranno assegnati direttamente alla persona che di fatto ne beneficia, senza tener conto della forma giuridica utilizzata per nascondere la vera proprietà. Inoltre, tale normativa mira a prevenire potenziali elusioni fiscali e a garantire una maggiore trasparenza nel sistema tributario, assicurando che le responsabilità fiscali siano attribuite a coloro che realmente sostengono i profitti.
È fondamentale comprendere che questa disposizione si applica a qualsiasi forma di interposizione, indipendentemente dalla natura della stessa, per evitare abusivi trasferimenti di reddito.
“Conta il possesso effettivo del reddito, non la targa straniera che gli appiccichi sopra.”
Corte di Cassazione, Sez. V, Sent. 9096/2025
Il tentativo di mascherare i redditi tramite un Trust estero si è trasformato, per Ferraris, in un classico boomerang fiscale.
Le conseguenze economiche della sua strategia sono state pesanti e ben documentate:
Una somma complessiva che non solo ha annullato ogni vantaggio fiscale atteso, ma ha addirittura raddoppiato l’esborso effettivo. Ferraris non ha risparmiato nulla, ma ha pagato il doppio, con l’aggravante di aver esposto sé stesso e la propria attività a un rischio reputazionale e patrimoniale elevatissimo.
Lascorciatoia del Trust estero, se non fondata su basi legittime e sostanziali, non solo non funziona più, ma può costare carissimo. Il tentativo di elusione si è infatti tradotto in un accertamento pienamente confermato in tre gradi di giudizio, senza possibilità di appello.
L’epoca delle strutture opache e delle scorciatoie internazionali è finita.
Chi oggi tenta di nascondere il controllo effettivo dietro un Trust estero si scontra con un contesto normativo e tecnologico profondamente cambiato.
L’introduzione della Direttiva DAC6, del Common Reporting Standard (CRS) e dei sistemi di scambio automatico di informazioni tra Stati ha rivoluzionato il controllo fiscale internazionale. Le autorità possono oggi mappare in pochi click strutture complesse, transazioni e beneficiari, anche oltreconfine. Questo sistema consente una gestione più efficiente e trasparente delle informazioni fiscali, facilitando il rispetto delle normative internazionali. Grazie a questa tecnologia avanzata, gli utenti possono monitorare e analizzare i dati con maggiore precisione, riducendo il rischio di errori e migliorando la compliance. Inoltre, l‘automazione del processo di scambio di informazioni offre un notevole risparmio di tempo e risorse per le aziende e le istituzioni coinvolte.
Le operazioni ritenute potenzialmente elusive sono soggette a obblighi di segnalazione e vengono incrociate con i dati bancari, societari e fiscali: il segreto non esiste più, e i tempi in cui un Trust estero garantiva anonimato sono definitivamente superati.
I registri dei titolari effettivi europei, istituiti in tutta l’Unione Europea in attuazione delle direttive antiriciclaggio, rendono impossibile nascondersi dietro una fiduciaria.
Questi registri, infatti, sono stati istituiti per aumentare la trasparenza finanziaria e combattere il riciclaggio di denaro e l’evasione fiscale. Di conseguenza, anche le società che cercavano di celare i veri proprietari devono ora rivelare informazioni fondamentali sull’identità delle persone fisiche che ne detengono il controllo. Pertanto, è diventato sempre più difficile per gli investitori e le aziende nascondere la propria identità e i propri interessi attraverso strutture opache.
Oggi, anche una società con sede all’estero deve dichiarare chi esercita il controllo reale o beneficia dei proventi, indipendentemente dalla struttura formale adottata.
Questa trasparenza colpisce direttamente le operazioni costruite per celare la titolarità effettiva, come i Trust “di carta” o le holding estere controllate informalmente da soggetti residenti.
La prassi dell’Agenzia delle Entrate si è consolidata su un principio semplice ma per nulla trascurabile: chi esercita poteri gestionali, firma contratti o incassa dividendi, è considerato possessore sostanziale del reddito.
Questo implica che il soggetto abbia una posizione significativa e un certo grado di controllo sugli asset o sui benefici finanziari associati. In tal modo, la responsabilità nei confronti delle normative fiscali e delle disposizioni legali diventa particolarmente rilevante, poiché l’Agenzia si aspetta che il soggetto agisca in conformità alle leggi vigenti. È fondamentale essere consapevoli di queste implicazioni per evitare eventuali sanzioni o problematiche legali nel futuro.
Non importa quale sia la struttura societaria o fiduciaria formalmente utilizzata: la sostanza economica prevale sempre sulla forma giuridica.
Anche un Trust validamente costituito può essere ricondotto fiscalmente in Italia se il controllo resta, di fatto, nelle mani del Disponente residente. L’art. 37 del DPR 600/1973, interpretato dalla Corte di Cassazione in modo sempre più rigoroso, consente infatti di superare ogni interposizione quando la volontà dispositiva e il potere gestionale non sono realmente trasferiti.
Questo significa che, anche per i Trust riconosciuti come validi, è importante che la gestione e il controllo rimangano sotto l’autorità italiana per garantire il rispetto delle normative fiscali. Inoltre, tale approccio della Corte di Cassazione sottolinea come le disposizioni legislative italiane intendano mantenere una vigilanza attiva su questi strumenti di pianificazione patrimoniale, evitando possibili elusioni fiscali. Infine, questa applicazione di legge implica che chi opera con Trust in Italia debba essere particolarmente attento alle implicazioni giuridiche e fiscali legate alla loro gestione.
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Contrariamente a quanto molti credono, ottenere una fiscalità più leggera non richiede necessariamente una fuga all’estero. In Italia esistono strumenti legali, trasparenti ed efficaci che consentono di ridurre la pressione fiscale in modo conforme e sostenibile.
In alcuni casi, un’attenta pianificazione può portare la global tax a scendere anche sotto il 27%, senza rischi di contenziosi e senza strutture opache. Approfondiamo alcune delle soluzioni più efficaci.
Il regime del Patent Box, oggi potenziato, consente di escludere dalla base imponibile una quota significativa dei redditi derivanti da beni immateriali.
In parallelo, il beneficio ACE (Aiuto alla Crescita Economica) permette una deduzione sugli utili reinvestiti, riducendo il carico fiscale sulle società che rafforzano il proprio capitale.
Costituire una holding in Italia può garantire un’efficiente gestione societaria, grazie al regime di Participation Exemption (PEX) che consente di esentare da tassazione il 95% delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate.
Una struttura ben pianificata può offrire vantaggi superiori a quelli promessi da una holding estera, senza dover affrontare i rischi legati alla residenza fiscale o all’interposizione.
Il Trust interno, se correttamente strutturato e amministrato da professionisti preparati, può rappresentare uno strumento solido di pianificazione patrimoniale e successoria.
Anche i vincoli di destinazione offrono un’alternativa efficace per proteggere beni e patrimoni, restando pienamente conformi al diritto italiano e all’ordinamento fiscale.
L’elemento chiave è la competenza: questi strumenti funzionano solo se studiati, applicati e gestiti con rigore da consulenti aggiornati e realmente esperti, non da improvvisati o generalisti.
La legalità è la via più sicura e più vantaggiosa!
Viviamo in un’epoca in cui legalità, trasparenza e competenza non sono ostacoli, ma opportunità. L’illusione che basti una struttura estera per proteggere il patrimonio o abbattere le imposte si è infranta contro i principi di sostanza economica e responsabilità personale. Lo dimostra il caso Ferraris, lo ribadiscono le norme, lo conferma la giurisprudenza.
Il Trust rimane uno strumento valido ed efficace, a condizione che sia:
La pianificazione patrimoniale e fiscale non si improvvisa.