Negli ultimi anni il concetto di “patrimonio” ha subito profonde trasformazioni. Accanto ai beni tradizionali (immobili, partecipazioni societarie, strumenti finanziari) hanno fatto la loro comparsa gli asset digitali, un settore in crescita esponenziale che comprende criptovalute e NFT (Non-Fungible Token).
Le criptovalute, tra cui spiccano Bitcoin ed Ethereum, sono monete digitali che si basano su blockchain pubbliche e decentralizzate, ovvero registri distribuiti e sicuri che garantiscono trasparenza e tracciabilità delle transazioni. Questa tecnologia rende difficile la contraffazione o la manomissione dei dati, rafforzando la fiducia degli utenti nei sistemi di pagamento digitali.
Gli NFT, invece, sono certificati digitali unici che attestano la proprietà di un bene, sia esso un’opera d’arte digitale, un biglietto per un evento o un oggetto da collezione. Essi permettono di dare valore e unicità a elementi digitali facilmente duplicabili, creando un nuovo mercato di collezionismo e investimento.
In questo contesto così in fermento, grandi patrimoni e famiglie ad alto valore netto (HNWIs) non possono più ignorare la componente digitale della ricchezza. Le criptovalute e gli NFT sono diventati parte integrante della pianificazione patrimoniale, ma la loro custodia richiede strumenti giuridici, tecnologici e fiduciari specifici.
La questione non è più “se” inserire questi asset in un piano di protezione, ma “come” custodirli in modo sicuro, tracciabile e trasmissibile, evitando i rischi legati alla volatilità dei mercati, alla vulnerabilità degli strumenti di accesso e all’assenza di una normativa uniforme.
Questi asset immateriali possiedono un valore economico concreto e in costante crescita, e richiedono una pianificazione consapevole e strumenti per la protezione e la trasmissione adeguati.
Dopo un periodo di forte crescita nel 2021, noto come “bull market” (mercato rialzista), seguito da un “bear market” (mercato ribassista), il biennio 2024-2025 ha visto una ripresa ai massimi storici, grazie a fattori come il lancio degli ETF (Exchange-Traded Fund)spot su Bitcoin (fondi negoziati in Borsa che replicano il prezzo del Bitcoin), l’ingresso di attori istituzionali e l’evoluzione tecnologica.
In modo parallelo, i wallet digitali (portafogli digitali per criptovalute) sono diventati più semplici da usare e l’applicazione degli NFT si è estesa a settori come l’identità digitale e la tokenizzazione di beni reali.
Questa crescita è stata supportata anche da un aumento della trasparenza e delle regolamentazioni nel settore, che ha contribuito a rafforzare la fiducia degli investitori e a favorire l’adozione di queste tecnologie innovative. Inoltre, l’aumento dell’interoperabilità tra diverse piattaforme ha facilitato l’integrazione di asset digitali in vari ambiti economici e sociali, aprendo nuove opportunità di mercato e di investimento.
La gestione degli asset digitali rappresenta una sfida senza precedenti per il mondo fiduciario. Se beni come immobili, partecipazioni societarie o portafogli titoli trovano facilmente collocazione all’interno degli strumenti tradizionali di protezione e trasmissione, le criptovalute e gli NFT richiedono un approccio diverso, in grado di tener conto della loro natura tecnologica, della loro volatilità e delle vulnerabilità specifiche legate alla custodia.
Il Trust, per sua natura, si presta ad accogliere anche questi nuovi beni all’interno di una strategia patrimoniale più ampia. Tuttavia, non basta trasferire le chiavi digitali al Trustee per parlare di protezione. Gestire asset digitali significa saper conciliare diritto e tecnologia, adottando procedure, strumenti e competenze che vadano ben oltre il concetto tradizionale di amministrazione.
Il Trustee che riceve in gestione NFT e criptovalute deve anzitutto possedere una conoscenza approfondita delle tecnologie sottostanti (blockchain, wallet, piattaforme di scambio) per scegliere consapevolmente le soluzioni di custodia più adeguate. Cold wallet, custodi istituzionali e vault digitali non sono intercambiabili: ciascuno presenta vantaggi e limiti che vanno valutati alla luce del contesto patrimoniale e degli obiettivi del Trust.
A questa capacità tecnica si affianca l’esigenza di predisporre procedure di sicurezza rigorose, volte a ridurre il rischio di perdita o furto delle chiavi private, vero fulcro del possesso digitale.
Non meno importante è garantire la trasparenza delle operazioni e la loro piena tracciabilità, elementi essenziali in un quadro normativo che impone obblighi sempre più stringenti in materia di antiriciclaggio e fiscalità.
Un ulteriore aspetto che distingue la gestione fiduciaria degli asset digitali è la pianificazione della trasmissione ereditaria. Le criptovalute e gli NFT non possono essere recuperati attraverso procedure giudiziarie o interventi esterni; infatti, senza un sistema che consenta il passaggio delle chiavi e degli accessi, il patrimonio rischia di andare perduto. Per questo, il Trustee deve strutturare sin dall’inizio un piano che assicuri la continuità del patrimonio digitale, anche in caso di decesso o impedimento del disponente o dello stesso trustee.
Il contesto normativo è ancora in evoluzione, ma il trend diventa sempre più chiaro: diversi Paesi stanno introducendo regole specifiche per disciplinare gli asset digitali. Ciò impone al Trustee un aggiornamento costante, tanto sul piano giuridico quanto su quello tecnologico, per garantire che la gestione sia conforme alle leggi e sicura per i Beneficiari.
Custodire criptovalute e NFT all’interno di un Trust non significa semplicemente conservarli, ma costruire una vera e propria infrastruttura fiduciaria, capace di offrire sicurezza, governance e continuità.
Il Trust si conferma ancora una volta essere uno strumento straordinariamente attuale e adattabile alle sfide del mondo digitale.
Gli Exchange centralizzati di criptovalute, come Binance, Coinbase, Kraken o Bybit, hanno avuto un ruolo determinante nell’espansione del mercato crypto.
Secondo i dati più recenti, nel 2025 i volumi di scambio giornalieri su queste piattaforme superano stabilmente i 50 miliardi di dollari, a dimostrazione della loro centralità nell’ecosistema digitale.
Per i piccoli e medi investitori gli Exchange centralizzati rappresentano spesso la scelta più comoda, poiché consentono di acquistare e vendere criptovalute con valute fiat (euro, dollaro), offrono interfacce user-friendly e permettono di accedere a servizi aggiuntivi come staking, lending e partecipazione a progetti DeFi. La prospettiva cambia radicalmente quando si parla di Trust e di grandi patrimoni digitali.
Dal punto di vista patrimoniale e fiduciario, gli Exchange centralizzati mostrano fragilità che non possono essere ignorate, soprattutto quando si parla di grandi patrimoni o di beni gestiti attraverso un Trust. La prima riguarda l’assenza di un controllo effettivo sulle chiavi private.
Chi utilizza queste piattaforme, infatti, non detiene realmente il codice che consente l’accesso e la gestione delle criptovalute: la custodia è nelle mani dell’Exchange. È un principio ben noto nel mondo digitale, riassunto nel motto “Not your keys, not your coins”. Ciò significa che, in caso di insolvenza dell’operatore o di blocco dei conti da parte delle Autorità, l’investitore rischia di perdere l’accesso ai propri fondi, senza alcuna possibilità di recupero.
A questa criticità si aggiungono i rischi operativi, che la cronaca recente ha reso evidenti.
Il fallimento di FTX nel 2022rimane un esempio emblematico: miliardi di dollari evaporati a causa di pratiche di governance inadeguate e di una gestione finanziaria opaca. Ma anche gli Exchange più solidi non sono immuni da problemi. Attacchi hacker, violazioni informatiche e improvvise restrizioni normative possono compromettere la disponibilità degli asset degli utenti, lasciandoli esposti a perdite ingenti.
Infine, vi è un aspetto che riguarda più da vicino i Trustee e le famiglie ad alto patrimonio netto: la complessità della compliance. Registrare un Trust presso un Exchange centralizzato implica procedure di KYC/AML molto rigorose, spesso difficili da adattare a strutture articolate come quelle dei grandi patrimoni. Queste piattaforme non offrono strumenti di governance condivisa, come la possibilità di gestire le operazioni tramite più firmatari, che sono invece fondamentali per rispettare i principi di trasparenza e di responsabilità propri dell’amministrazione fiduciaria.
Sebbene gli Exchange centralizzati possano risultare comodi per l’acquisto immediato di criptovalute o per operazioni di conversione, i loro limiti strutturali li rendono inadeguati come soluzione di custodia per patrimoni complessi.
Per un Trustee, affidarsi esclusivamente a questi strumenti significherebbe esporre il patrimonio a rischi che, nella prospettiva fiduciaria, non possono essere accettati.
L’introduzione del regolamento europeo MiCA (Markets in Crypto-Assets) e delle nuove linee guida statunitensi ha segnato un passo importante verso una maggiore trasparenza nel settore delle criptovalute. Gli Exchange centralizzati sono oggi tenuti a rispettare requisiti patrimoniali più severi e obblighi di custodia più stringenti; questi elementi hanno contribuito a rafforzare la fiducia degli investitori retail e a contenere i rischi di comportamenti opachi. Per i piccoli risparmiatori si tratta senza dubbio di un progresso, poiché aumenta il livello di tutela e riduce la possibilità di perdere fondi in seguito a pratiche scorrette o fallimenti societari.
Tuttavia, ciò che rappresenta un vantaggio per gli utenti privati può trasformarsi in un ostacolo per soggetti più complessi. Le procedure di onboarding diventano più articolate, la documentazione richiesta si moltiplica e la gestione quotidiana si appesantisce di controlli burocratici. In questo senso, la regolamentazione si rivela una vera e propria arma a doppio taglio: migliora la solidità del sistema, ma al tempo stesso rende meno flessibile l’operatività per chi deve gestire patrimoni articolati e multimilionari.
Alla luce di questi elementi, un Trustee che amministra un patrimonio digitale di rilievo dovrebbe considerare gli Exchange centralizzati non come strumenti di custodia, ma come semplici canali operativi. Pur essendo utili per convertire rapidamente criptovalute in valute fiat, per accedere a specifici mercati o per spostare liquidità in tempi brevi, non offrono però le garanzie necessarie per custodire il patrimonio nel lungo periodo.
La responsabilità fiduciaria richiede controllo diretto, trasparenza e continuità, ossia caratteristiche che un Exchange centralizzato, per la sua stessa natura, non può assicurare. Per questo motivo, la strategia più prudente consiste nell’utilizzarlo solo come punto di transito, spostando poi i fondi verso soluzioni più sicure come i cold wallet o i custodi istituzionali. In questo modo è possibile coniugare l’accessibilità e la rapidità tipiche degli Exchange con la solidità e la protezione patrimoniale garantite dagli strumenti professionali di custodia.
Gli hot wallet (portafogli digitali costantemente connessi a Internet, come MetaMask, Trust Wallet o Exodus) hanno conquistato grande popolarità tra gli investitori perché permettono di entrare nell’ecosistema blockchain in maniera immediata. Con questi strumenti è possibile collegarsi agli Exchange, interagire con le piattaforme di finanza decentralizzata, acquistare o vendere NFT e persino partecipare a offerte di token appena lanciati sul mercato. La loro forza sta proprio nella rapidità e nella semplicità d’uso. A tal proposito, non servono dispositivi aggiuntivi, l’interfaccia è intuitiva e persino chi non ha una profonda esperienza e conoscenza tecnica può muoversi con relativa facilità.
Questa immediatezza, che costituisce un vantaggio evidente per chi fa trading frequente o vuole sperimentare nuove opportunità di mercato, si trasforma però in un problema quando si parla di custodia fiduciaria di grandi patrimoni digitali. L’esposizione continua alla rete rende gli hot wallet molto più vulnerabili rispetto ai cold wallet. Attacchi malware, tentativi di phishing o intrusioni mirate possono compromettere le chiavi private e, con esse, l’accesso al patrimonio.
C’è un altro aspetto da considerare. A differenza degli Exchange centralizzati, negli hot wallet l’utente mantiene il possesso delle proprie chiavi. Questo, in teoria, rappresenta un punto di forza. Nella pratica, però, comporta una responsabilità enorme. Se la chiave viene smarrita, sottratta o gestita in modo inadeguato, non esiste alcun ente terzo in grado di ripristinare l’accesso.
La perdita è definitiva e irreversibile. Dal punto di vista fiduciario, questa caratteristica diventa ancora più problematica.
Un Trust non può permettersi di affidare la gestione di milioni di euro in asset digitali a uno strumento che, per sua stessa natura, non offre sistemi di governance condivisa. Nella maggior parte dei casi non è possibile configurare procedure di multi-firma, che obblighino più soggetti ad autorizzare una transazione. Inoltre, l’uso individuale di un hot wallet mal si concilia con le esigenze di trasparenza e tracciabilità che caratterizzano l’attività del Trustee.
Un Trustee che decidesse di basare l’intera custodia del patrimonio su un hot wallet si assumerebbe quindi un rischio operativo e reputazionale enorme.
Questi strumenti possono essere utili per operazioni rapide, sperimentazioni o attività marginali, ma sono del tutto inadeguati come soluzione principale per la gestione di un Trust o di un grande patrimonio digitale.
Nonostante i loro limiti, gli hot wallet non vanno demonizzati. Inseriti all’interno di una strategia patrimoniale ben strutturata, possono svolgere un ruolo complementare e offrire una certa utilità operativa. Grazie alla loro connessione costante con la rete, risultano ideali per operazioni di breve periodo, come il pagamento rapido di un servizio, la conversione immediata di token in stablecoin o l’interazione con applicazioni decentralizzate.
È, però, fondamentale sottolineare che non possono in alcun modo costituire la soluzione principale per la custodia fiduciaria di un patrimonio digitale. La loro funzione è più vicina a quella di un portafoglio “da spesa quotidiana” che a quella di una cassaforte destinata a custodire ricchezze di lungo termine.
Un approccio professionale non si limita a escludere o includere gli hot wallet, ma li colloca nel posto giusto: strumenti operativi e di supporto, utili quando serve rapidità, ma sempre affiancati a soluzioni più robuste come i cold wallet o i custodi istituzionali. In questo equilibrio sta la vera differenza tra un uso amatoriale e una gestione fiduciaria consapevole, capace di garantire al tempo stesso efficienza operativa e sicurezza patrimoniale.
Tra le diverse soluzioni disponibili per custodire asset digitali, i cold wallet sono unanimemente considerati il punto di riferimento per la sicurezza. Si tratta di dispositivi fisici come Ledger, Trezor o Keystone, progettati per conservare le chiavi private completamente offline. Proprio questa caratteristica riduce drasticamente il rischio di attacchi informatici, rendendoli lo strumento più affidabile per chi desidera proteggere patrimoni significativi.
Il funzionamento dei cold wallet è semplice quanto efficace. A differenza degli hot wallet, che restano costantemente connessi alla rete, i cold wallet operano in modalità offline: le transazioni vengono firmate direttamente sul dispositivo, mentre la chiave crittografica rimane isolata e protetta. Anche se il computer collegato venisse compromesso, gli asset digitali resterebbero al sicuro. Negli ultimi anni questi strumenti si sono evoluti, integrando funzioni avanzate come lo swap dei token, la gestione di NFT direttamente dal dispositivo, il supporto per lo staking e aggiornamenti firmware costanti che ne migliorano la sicurezza.
Per chi amministra un Trust o gestisce grandi patrimoni digitali, i vantaggi dei cold wallet sono evidenti. Consentono di mantenere il pieno controllo delle chiavi private senza dover dipendere da intermediari, offrono la possibilità di implementare sistemi di multi-firma che rafforzano la governance fiduciaria e riducono il rischio di errori o abusi, e garantiscono indipendenza tecnologica, evitando di legarsi a piattaforme centralizzate che potrebbero rivelarsi vulnerabili o instabili.
Tuttavia, la sicurezza dei cold wallet dipende in larga parte da un aspetto spesso sottovalutato: la gestione della seed phrase, ovvero la sequenza di 12 o 24 parole che consente di ricostruire il portafoglio in caso di smarrimento o danneggiamento del dispositivo. Nel contesto fiduciario, questo elemento richiede una pianificazione meticolosa. Infatti, occorre stabilire chi custodirà fisicamente il dispositivo, come e dove verrà archiviata la seed phrase, quali misure di sicurezza saranno adottate e quali politiche regoleranno l’accesso o il recupero delle chiavi in caso di eventi imprevisti come la malattia, il decesso del trustee o l’apertura di un contenzioso. Una governance ben strutturata su questi aspetti consente di ridurre al minimo il rischio di perdita definitiva degli asset e di garantire la continuità operativa anche nelle situazioni più complesse.
L’unico vero limite dei cold wallet è la loro minore praticità rispetto agli hot wallet o agli Exchange. Ogni operazione richiede l’uso del dispositivo fisico e una procedura di validazione che inevitabilmente rallenta i tempi. Questo limite, tuttavia, è anche la loro maggiore forza. Per patrimoni significativi, la priorità non è la rapidità delle transazioni, ma la solidità e la protezione del capitale.
I cold wallet rappresentano oggi lo standard di custodia fiduciaria per famiglie ad alto patrimonio netto e trust che devono garantire sicurezza, governance condivisa e continuità. Integrati con procedure di backup e regole chiare di accesso, costituiscono la base più solida per proteggere e tramandare nel tempo criptovalute e NFT, trasformando un bene fragile e immateriale in un patrimonio capace di attraversare le generazioni.
Quando il patrimonio digitale cresce e supera determinate soglie, affidarsi solo a un cold wallet può risultare limitante. Per famiglie ad alto valore netto e Trust che devono garantire non solo sicurezza, ma anche governance e conformità normativa, i custodi istituzionali rappresentano oggi la soluzione più solida.
Si tratta di società specializzate che operano in modo simile a vere e proprie banche digitali. A differenza delle piattaforme di scambio o dei wallet personali, offrono un’infrastruttura completa che integra la custodia sicura degli asset con servizi di compliance, monitoraggio, coperture assicurative e, in alcuni casi, persino licenze bancarie. Realtà come Anchorage Digital, BitGo, Fireblocks o Komainu hanno costruito la loro reputazione proprio su questo: consentire a Trust, Family Office e investitori istituzionali di custodire criptovalute e NFT in un ambiente regolamentato e protetto.
Il vantaggio per un Trustee è duplice. Da un lato c’è la garanzia di un sistema tecnologicamente avanzato, che utilizza soluzioni come il cold storage e la multi-firma per ridurre al minimo i rischi di perdita o furto. Dall’altro c’è la certezza di operare in un contesto conforme alle normative, un aspetto delicato quanto importante se si considera che la regolamentazione sugli asset digitali è in continua evoluzione, con l’Europa che ha introdotto il regolamento MiCA e gli Stati Uniti che stanno rafforzando il controllo della SEC.
Accedere a questi servizi richiede procedure più lunghe e approfondite rispetto a un Exchange tradizionale. Il processo di onboarding implica verifiche rigorose sulla struttura del Trust, sugli atti istitutivi e sui beneficiari, ma il risultato è una custodia pensata per patrimoni complessi e destinata a durare nel tempo. Si tratta di soluzioni create su misura per grandi ricchezze che non possono permettersi vulnerabilità operative.
Il costo di queste piattaforme è certamente superiore rispetto a un wallet personale, ma si tratta di un investimento proporzionato al livello di protezione e continuità che garantiscono. Per un Trust che deve operare in più giurisdizioni e assicurare ai beneficiari non solo la conservazione ma anche la trasmissibilità degli asset digitali, i custodi istituzionali rappresentano oggi la scelta più affidabile.
Quando si parla di custodia di criptovalute e NFT, si pensa quasi sempre a wallet e custodi istituzionali. Eppure, la vera sfida non è solo conservare gli asset nel presente, ma garantire che possano essere trasmessi in modo sicuro alle generazioni future. È qui che entrano in gioco gli strumenti complementari, spesso meno noti ma fondamentali per costruire una strategia completa.
Uno degli aspetti più delicati riguarda la gestione delle seed phrase e delle password di accesso.
La loro perdita equivale alla scomparsa definitiva del patrimonio digitale. Per questo, molti Trustee scelgono di utilizzare vault digitali altamente protetti, piattaforme in cui archiviare in modo sicuro chiavi crittografiche, backup e istruzioni operative. Si tratta di strumenti che non sostituiscono i wallet o i custodi, ma che li integrano, offrendo un ulteriore livello di garanzia contro errori umani o eventi imprevisti.
Accanto ai vault, si stanno diffondendo soluzioni dedicate alla pianificazione dell’eredità digitale. Piattaforme come MyWishes o Clocr permettono di predisporre procedure che, in caso di decesso o impedimento, rendano possibile a familiari, Beneficiari o Trustee accedere agli asset.
Non esistono “notai digitali” né tribunali in grado di recuperare una chiave privata smarrita; quindi, senza una programmazione preventiva, il rischio è che un patrimonio di grande valore vada irrimediabilmente perduto.
Per questo motivo, il Trustee che intende gestire criptovalute e NFT con responsabilità non può limitarsi a scegliere la soluzione tecnologica di custodia più sicura, ma deve anche prevedere un piano chiaro per la continuità. La protezione del patrimonio digitale passa attraverso la crittografia e la compliance e anche dalla capacità di assicurare tracciabilità e accesso nel lungo periodo, evitando che gli asset restino bloccati o inaccessibili.
Integrare strumenti complementari permette di dare al Trust la capacità di affrontare le sfide tecniche del presente e quelle legate al futuro, quando la domanda più importante non sarà “Dove custodire le criptovalute?”, bensì “Chi potrà davvero beneficiarne?”.
La custodia di criptovalute e NFT all’interno di un Trust rappresenta una delle sfide più complesse della pianificazione patrimoniale contemporanea.
La natura immateriale di questi asset, unita alla loro volatilità e all’assenza di strumenti di recupero in caso di perdita delle chiavi, impone un approccio diverso da quello riservato ai beni tradizionali.
Non esiste una soluzione unica valida per tutti.
Il ruolo del Trustee diventa quindi centrale. La gestione del patrimonio digitale richiede formazione costante, aggiornamento sulle normative e capacità di costruire procedure interne che riducano al minimo i rischi di perdita o accesso non autorizzato.
In un mondo in cui le blockchain non prevedono appelli né possibilità di recupero, la vera forza del Trustee sta nella sua capacità di unire prudenza giuridica e competenza tecnologica.
Solo così il patrimonio digitale potrà essere non solo protetto nel presente, ma anche trasmesso intatto nel futuro, trasformandosi da bene volatile in una ricchezza duratura, capace di attraversare le generazioni.