Come scritto in precedenti articoli, il trust è un atto attraverso il quale il titolare dei beni, chiamato “disponente”, decide di spogliarsi della proprietà dei suddetti beni trasferendoli nel fondo in trust, gestito da un amministratore chiamato “trustee” (terza persona o società), a beneficio di una o più persone chiamate “beneficiari”, al fine di raggiungere lo scopo che è stato deciso dal “disponente”.
È un trust dove il disponente ed il beneficiario sono il medesimo soggetto e ne discende dunque che, in tali casi, il trust, alla fine del suo programma, dovrà trasferire i beni allo stesso disponente, a prescindere che siano gli stessi beni iniziali (gestione statica) o siano beni differenti (gestione dinamica).
Certo che no: infatti il trust autodichiarato è un trust dove il disponente ed il trustee sono il medesimo soggetto e ne discende, dunque, che la proprietà rimane sempre intestata allo stesso soggetto.
I soggetti interessati a questo strumento sono tra i più svariati:
Come più volte ribadito da oltre 100 sentenze di Cassazione e come ribadito anche dalla CTR Lombardia Milano la quale, in una diatriba tra contribuente e Agenzia delle Entrate, ha stabilito, con sentenza del 9 luglio 2019, che il trust autodestinato non ha un effetto di liberalità e quindi non va applicata l’imposta di donazione in quanto non sono adottabili le note circolari dell’Agenzia delle Entrate n. 48 del 2007 e n. 3 del 2008, le quali prevedono tale applicazione di imposta indiretta.
Inoltre la Cassazione ha ribadito l’inapplicabilità delle sentenze n. 3735 e 3886 del 2015 relativamente all’imposta di donazione sui trust per il sol fatto che la legge prevede una “nuova imposta sui vincoli di destinazione”.
Ricordando che il trust non è un vincolo di destinazione sui beni, e che l’unico vincolo che è presente sull’atto istitutivo di trust è relativo al programma che il trustee deve svolgere, facendo così nascere l’obbligazione in capo al trustee.
In un approfondimento a cura dell’Avvocato Dario Latrofa, pubblicato da Il Sole 24 Ore ad ottobre 2020, sono state analizzate tutte le sentenze sulla tassazione delle imposte indirette da cui si evincono 65 pronunce emanate dalla Corte di Cassazione dal 2015 ad oggi, di cui 9 a favore dell’Agenzia delle Entrate e ben 56 a favore del contribuente con una tassazione in uscita, cioè quando i beni passeranno dal trust ai beneficiari.
In conclusione, la metabolizzazione del trust in Italia ha ormai raggiunto la sua maturità finale e risulta uno strumento sempre più consono alle esigenze di famiglie ed imprese.