Alcune scelte fatte dall’Agenzia delle entrate in tema di tassazione degli apporti al trust, sono un proposta (infondata) della tassazione in entrata, che si dovrebbe verificare al momento dell’attribuzione dei beni in trust, qualora detta attribuzione dovesse risultare stabile.
L’Agenzia delle entrate nella Circolare accoglie la tesi della tassazione in uscita confermata dalla Corte di cassazione con oltre 120 pronunce, e conferma che il trasferimento imponibile si realizza solo all’atto dell’effettivo incremento patrimoniale del beneficiario – vedi ordinanza 30 ottobre 2020 nn. 25153 e 24154 >> o Cassazione Sentenza n. 8082 del 2020. Le ordinanze che hanno sconfessato la tesi della tassazione in entrata sono la n. 16705 del 2019; nn. 2897, 2898, 2899, 2900, 2901, 2902 del 2020; nn. 416 e 5766 del 2020; n. 3986 del 2021; n. 3075 del 2021; n. 729 del 2021; nn. 224 e 225 del 2021.
Erroneamente l’Agenzia delle entrate riproporne la tesi della tassazione in entrata limitata ai casi dove si realizza l’effettivo trasferimento di ricchezza attraverso un’attribuzione stabile dei beni confluiti in trust a favore del beneficiario. Questa tesi era stata supportata da poche sentenze della Cassazione del 2018 e del 2019.
In pratica, l’Agenzia ha consapevolmente assunto una posizione che porterà ad altro contenzioso che la vedrà soccombere. Questa posizione, che sembra un invito agli uffici locali a verificare e interpretare gli atti di trust, pone il problema della incapacità dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate alla “precomprensione” ed alla corretta “metabolizzazione” dello strumento Trust.
Vedasi la nuovissima figura creata dalla Circolare sul trust discrezionale, dove viene scritto che essa si caratterizza dal fatto che “il disponente si riserva la facoltà di nominare in un momento successivo i beneficiari ovvero rimette al trustee o ad un protector (guardiano) l’individuazione degli stessi, delle loro rispettive posizioni o delle modalità e dei tempi di attribuzione dei benefici” confondendo la riserva di poteri in capo al Disponente del trust, con la discrezionalità del Trustee.
Un altro caso è la posizione assunta dell’Agenzia delle entrate nell’“attribuzione stabile” che si verificare all’atto di istituzione o di dotazione del trust qualora “i beneficiari individuati (o individuabili) siano titolari di diritti pieni ed esigibili, non subordinati alla discrezionalità del trustee o del disponente, tali da consentire loro l’arricchimento e l’ampliamento della propria sfera giuridico-patrimoniale già al momento dell’istituzione del trust”.
Esso dovrebbe indicare la categoria dei beneficiari con posizioni assolute (absolute beneficial interest). La circolare ipotizza il caso del “trust in cui al beneficiario viene attribuito il diritto a ricevere dal trustee un bene, un immobile, del denaro, oppure una rendita periodica”. Questo è un esempio che ci porta alle c.d. posizioni beneficiarie quesite, che individuano i beneficiari titolari di diritti verso il trustee sul fondo, sul capitale o sul reddito. L’errore dell’Agenzia delle entrate è assimilare la posizione dei beneficiari individuati “vested in possession” a quella dei beneficiari individuabili “vested in interest”.
Il “beneficiario individuato,” a cui si riferisce la Circolare, dovrebbe essere il c.d. beneficiario “vested in possession”, che può esercitare immediatamente e in modo discrezionale la sua posizione anche chiedendo, a seconda della legge regolatrice e ove applicabile il principio Saunders v Vautier, l’anticipazione del termine finale del trust, con la conseguente consegna del fondo.
Il “beneficiario individuabile”, invece, dovrebbe essere assimilabile al beneficiario “vested in interest” che, però, può esercitare i suoi diritti solo a seguito di un evento futuro. L’Agenzia delle entrate non ha “metabolizzato” che la posizione beneficiaria può essere determinata dall’origine nell’atto istitutivo (c.d. fixed trust) oppure essere rimessa alle determinazioni del trustee, del guardiano, oppure di un terzo soggetto (c.d. discretionary trust) creando due categorie distinte di beneficiari “vested in possession” e “vested in interest”. Per concludere pare evidente che il cortocircuitò che crea la Circolare dell’Agenzia delle entrate e nella tassazione in entrata con apporto di beni, in quanto l’assoggettamento delle imposte indirette in entrata nei confronti del “vested in possession” ha una sua logica inlogica sulle imposte dirette, mentre l’assoggettamento delle imposte indirette e dirette in entrata per il “vested in interest” è inapplicabile perché quel beneficiario potrebbe non vedersi mai assegnato alcun bene.
In ultima analisi, anche dal punto di vista del diritto dei trust, senza considerare la posizione assolutamente contraria espressa dalla Corte di cassazione, questa Circolare genererà molti contenziosi tributari.
Gli operatori del diritto si chiedono perché al mandato a donare (art. 778, c. 2 c.c.) e alla forma della donazione (art. 782 c.c.), si dispone la necessaria accettazione del donatario, di modo che fino a quando ciò non si verifichi non sorge il presupposto impositivo, mentre nel trust con beneficiario vested il presupposto sorge al momento della istituzione o dotazione del trust.
L’Agenzia delle entrate dimentica che l’atto istitutivo del trust, così come più volte ricordato dalla Corte di cassazione e dalla stessa Agenzia in precedenti circolari, è un atto neutro che non prevede alcuna attribuzione patrimoniale.
Per concludere possiamo sostenere che la posizione assunta dall’Agenzia delle entrate nella Circolare in commento, é errata dal punto di vista del diritto dei trust, sovverte chiaramente l’interpretazione granitica fornita della Corte di cassazione della tassazione in uscita, secondo cui il conferimento dei beni in trust, per ogni tipo di trust, è da ritenersi fiscalmente irrilevante rispetto alla cd. nuova imposta sul vincolo di destinazione, all’imposta di successione e donazione e alle imposte ipotecarie e catastali che saranno dovute in seguito all’eventuale trasferimento finale del bene al beneficiario, in quanto solo quest’ultimo costituisce un effettivo indice di ricchezza ai sensi dell’art. 53 Cost. (tra le tanti ricordiamo, Corte Suprema di Cassazione, ordinanze n. 20324/2020; n. 14207/2020; n. 13715/2020; n. 13525/2020; n. 10261/2020; n.10259/2020; n. 10256/2020; n. 10254/2020; n. 9601/2020; n. 8281/2020; n. 8082 /2020; n. 7003/2020; n. 5766/2020; n. 4163/2020, n. 2902/2020). La Circolare 34/2022 sarà causa di un’altra stagione di “inutile” affollamento delle Corti di giustizia, che dovranno nuovamente pronunciarsi sullo stesso tema, già affrontato oltre 120 volte e risolto in termini contrari a quanto sostiene l’Agenzia.