Il Trust Autodichiarato è una pratica consolidata e accettata in molte giurisdizioni del mondo. Questo strumento consente agli individui di gestire e proteggere il proprio patrimonio in modo flessibile e strategico, rappresentando anche una soluzione efficace per la pianificazione successoria.
Grazie alla sua struttura, il Trust Autodichiarato offre un’alternativa alla successione legale tradizionale, evitando complicazioni burocratiche e garantendo maggiore libertà nella gestione dei beni. In Italia il suo riconoscimento incontra forti resistenze da parte dell’Agenzia delle Entrate, che tende a non accettarlo nemmeno dal punto di vista civilistico e giuridico.
Questa posizione crea incertezza tra i contribuenti, con potenziali ripercussioni legali e fiscali, rendendo più difficile sfruttare i vantaggi offerti dal Trust.
La mancanza di una chiara regolamentazione alimenta un clima di sfiducia, ostacolando l’adozione di strumenti giuridici che potrebbero migliorare la protezione patrimoniale.
Quando viene istituito, il Trust Autodichiarato genera effetti civilistici immediati, vincolando i beni del fondo in Trust allo scopo dichiarato nell’atto costitutivo. Questo significa che i beni conferiti devono essere gestiti e amministrati secondo le volontà espresse nel Trust, rispettando le regole stabilite dal Disponente.
Gli effetti fiscali, però, seguono un percorso distinto. L’Agenzia delle Entrate, a seconda delle normative vigenti e della classificazione del Trust, può decidere di non riconoscerlo dal punto di vista fiscale. Ciò non significa che il Trust perda validità civilistica: continua a esistere giuridicamente e a proteggere i beni secondo gli scopi per cui è stato creato.
Un principio fondamentale, spesso ribadito dal professor Maurizio Lupoi, chiarisce un punto importante nel dibattito sul Trust Autodichiarato:
“Contrariamente a quanto ritiene l’Agenzia delle Entrate, il controllo sul Trustee e l’influenza sulla formazione della sua volontà sono elementi connaturati al moderno diritto dei Trust.”
Questo significa che la validità del Trust Autodichiarato non è compromessa dal fatto che il Disponente sia anche Trustee, purché vi sia una chiara distinzione giuridica tra il patrimonio personale e quello in Trust.
A rafforzare questa posizione è la Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, che stabilisce i criteri per il riconoscimento internazionale dei Trust. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate tende a ignorare questi principi, adottando un’interpretazione restrittiva che limita l’utilizzo del Trust Autodichiarato.
Per comprendere meglio il dibattito sul Trust Autodichiarato, è utile analizzare come l’Agenzia delle Entrate ha interpretato la Convenzione dell’Aja del 1985, che stabilisce i criteri per il riconoscimento dei Trust a livello internazionale.
Secondo la Convenzione, un Trust deve rispettare quattro elementi fondamentali:
Secondo l’Agenzia delle Entrate, un Trust, per essere valido, deve rispettare tre principi fondamentali:
Questa interpretazione omette un elemento essenziale contenuto nel comma 3 dell’articolo 2 della Convenzione dell’Aja, che afferma:
“Il fatto che il disponente si riservi certi diritti e poteri (…) non è necessariamente incompatibile con l’esistenza di un Trust.”
Questo significa che il Trust non perde validità solo perché il Disponente mantiene alcuni poteri di gestione.
Contrariamente a una visione tradizionale dei Trust, in cui il Disponente dovrebbe perdere ogni controllo sui beni conferiti, il Trust Autodichiarato permette al Disponente di mantenere un certo grado di influenza sulle decisioni patrimoniali. Questa caratteristica è fondamentale perché:
L’effetto sistematico di questa disposizione è chiaro: non si può affermare – come invece fa l’Agenzia delle Entrate nella Circolare n. 61 del 2010 – che la riserva di diritti o poteri in capo al Disponente renda automaticamente invalido il Trust.
La normativa sui Trust è complessa e sfaccettata, e la validità di ogni singolo Trust dovrebbe essere valutata caso per caso, tenendo conto delle specifiche disposizioni contenute nell’atto istitutivo. Tentare di applicare un’interpretazione rigida e generalizzata porta a conclusioni errate e rischia di limitare l’uso di un istituto giuridico perfettamente legittimo e riconosciuto a livello internazionale.
Negli ultimi anni, l’Agenzia delle Entrate ha iniziato a mostrare una certa apertura nei confronti del Trust Autodichiarato, ma solo in un ambito molto specifico: l’applicazione della Legge “Dopo di Noi” (L. 112/2016). Questa normativa è stata pensata per offrire una tutela patrimoniale alle persone con disabilità, garantendo loro una maggiore sicurezza economica e continuità nella gestione dei beni, anche dopo la scomparsa dei genitori o dei tutori legali.
In questo contesto, l’Agenzia ha riconosciuto che:
Sebbene questa apertura rappresenti un piccolo passo avanti, resta comunque molto limitata. L’Agenzia delle Entrate ha accettato il Trust Autodichiarato solo in questo ambito specifico, ma continua a non riconoscerlo nella gestione patrimoniale generale. Questo significa che, per chi vorrebbe utilizzare il Trust autodichiarato per proteggere il proprio patrimonio in altri contesti, gli ostacoli normativi e fiscali rimangono gli stessi.
Il riconoscimento del Trust Autodichiarato in Italia è un percorso ancora lungo e complesso. L’Agenzia delle Entrate fatica ad accettarlo e, al momento, il dibattito intorno a questo strumento è caratterizzato da interpretazioni normative contrastanti, resistenze istituzionali e incertezze applicative. Nonostante il Trust Autodichiarato sia una realtà consolidata a livello internazionale, nel nostro Paese la sua piena integrazione nel sistema giuridico e fiscale appare ancora lontana.
Quello che possiamo affermare con certezza è che, se ben redatto, il Trust Autodichiarato è valido dal punto di vista civilistico e rappresenta un mezzo efficace per la protezione patrimoniale e la pianificazione successoria. Tuttavia, sul fronte fiscale, l’Agenzia delle Entrate non ne riconosce gli effetti, creando ostacoli alla sua applicazione pratica e lasciando spazio a una forte incertezza per chi vorrebbe avvalersene.
Per arrivare a un’effettiva accettazione del Trust Autodichiarato in Italia, è fondamentale favorire il dialogo tra giuristi, fiscalisti e istituzioni, creando un confronto aperto e basato su un’analisi approfondita delle sue potenzialità. Parallelamente, è necessario incentivare studi e ricerche che dimostrino, con dati e casi concreti, l’efficacia di questo strumento per la gestione del patrimonio.
Solo attraverso un dibattito costruttivo e un approccio normativo più chiaro e coerente si potrà arrivare a un riconoscimento più ampio del Trust Autodichiarato. Un processo che richiederà tempo e impegno, ma che potrebbe portare a una maggiore tutela patrimoniale per cittadini e imprese.