Quando un imprenditore viene a mancare, l’attenzione si concentra quasi sempre sulla transizione dell’impero economico, focalizzandosi sul valore del patrimonio, la sorte dell’azienda, gli effetti sul mercato. Nel caso di Giorgio Armani, scomparso a 91 anni, la vera notizia non è solo l’entità del patrimonio, stimato in miliardi di euro, ma il metodo con cui ha scelto di garantire continuità alla sua opera.
Un professionista della moda che ha saputo estendere le sue competenze anche alla gestione del patrimonio: autentico capolavoro di pianificazione successoria e fiscale.
Un “capolavoro sartoriale” applicato al diritto e all’economia, che oggi rappresenta un modello per ogni famiglia imprenditoriale italiana chiamata ad affrontare il passaggio generazionale.
Attraverso fondazioni, regole di governance, strumenti civilistici e strategie fiscali, Giorgio Armani ha dimostrato che la successione può trasformarsi in occasione di stabilità, identità e crescita.
Il cuore della pianificazione successoria di Giorgio Armani è racchiuso in una scelta lungimirante: la creazione della Fondazione Giorgio Armani, istituita nel 2016 e destinata a diventare titolare del 100% della società Giorgio Armani S.p.A.
Questa decisione ha due effetti immediati e straordinari. Da un lato, le quote della società non sono mai entrate a far parte della successione ereditaria, evitando così che l’impresa potesse diventare terreno di contesa tra familiari. Dall’altro, il conferimento alla Fondazione ha reso possibile una strategia fiscale di impatto notevole. In Italia, infatti, le donazioni a favore di enti non profit riconosciuti sono esenti dalle imposte di successione e donazione.
Per un patrimonio stimato in miliardi di euro, il risparmio non è stato di certo marginale.
Secondo alcune valutazioni, l’imposta avrebbe potuto superare i 400 milioni di euro se le partecipazioni fossero state trasferite direttamente agli eredi.
Con l’interposizione della Fondazione, Armani ha azzerato in modo legale il carico fiscale, trasformando quello che per molti sarebbe un costo inevitabile in un vantaggio strutturale per l’impresa e per la sua continuità.
La Fondazione, è bene sottolinearlo, non è soltanto uno strumento fiscale. È un presidio di governance e di valori, concepito per custodire l’identità del brand, garantire la stabilità gestionale e mantenere intatto il legame tra l’impresa e la visione del suo fondatore. Non si tratta, dunque, di un’entità passiva, ma di un vero e proprio “custode” incaricato di vigilare sull’eredità culturale e aziendale.
Questa operazione anticipa, inoltre, prospettive e possibilità future. Quando sarà approvata la norma, attualmente al Senato, che consente l’iscrizione dei Trust filantropici al Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS), la stessa logica potrà essere replicata con un Charity Trust. In questo modo, anche altri imprenditori avranno la possibilità di strutturare i propri patrimoni con strumenti capaci di unire pianificazione fiscale, finalità sociali e protezione di lungo periodo.
Se la Fondazione rappresenta l’elemento centrale della pianificazione, l’altro pilastro è costituito da un’architettura di governance complessa e ben bilanciata. Giorgio Armani sapeva bene che il rischio principale, in ogni passaggio generazionale, non è soltanto di natura fiscale, ma soprattutto relazionale, poiché i conflitti familiari possono minare in pochi mesi ciò che è stato costruito in decenni.
Per questo motivo ha separato con precisione i diritti patrimoniali (la titolarità delle quote) dai diritti di voto e dal potere decisionale. Re Giorgio ha utilizzato la tecnica nota come decorrelazione dei diritti, per bilanciarli e ottenere una gestione equa e garantire la stabilità nella gestione.
La distribuzione dei diritti di voto è stata calibrata con estrema attenzione:
In questo modo, il binomio Fondazione-Dell’Orco detiene il 70% del potere decisionale, assicurando che la direzione strategica dell’impresa resti saldamente nelle mani di figure competenti e allineate alla filosofia del fondatore.
È interessante notare come la sorella Rosanna e la nipote Roberta Armani hanno ricevuto quote di capitale, ma senza poteri di voto. Questa decisione garantisce liquidità ai familiari, concentrando la gestione in mani esperte e competenti, prevenendo decisioni unilaterali.
Per assicurare che la Fondazione potesse mantenere il controllo anche cedendo quote di capitale in futuro, lo statuto aziendale è stato modificato nel 2023, introducendo azioni a voto maggiorato e diritti particolari (come le Azioni A e F, che pur rappresentando solo il 40% del capitale, detengono oltre il 53% dei diritti di voto).
Lo strumento sofisticato di ingegneria societaria blinda il controllo, anche nell’eventualità di una futura apertura del capitale a soggetti terzi.
La successione non si limita a trasferire ricchezza, ma richiede la creazione di pesi e contrappesi capaci di garantire continuità, evitando conflitti e instabilità.
Per decenni Giorgio Armani ha difeso con tenacia l’indipendenza della sua azienda, evitando l’ingresso di azionisti esterni e preservando il marchio da logiche puramente finanziarie. Eppure, nella sua pianificazione successoria, ha introdotto un principio apparentemente in contrasto con questa filosofia: l’apertura del capitale a terzi.
Si tratta, in realtà, di una mossa perfettamente coerente con la sua visione. L’apertura è stata prevista secondo un calendario vincolante, con regole precise volte a garantire un equilibrio tra due esigenze ben definite e chiare. Da un lato, la necessità di risorse fresche per sostenere la crescita globale del marchio; dall’altro, la protezione dell’identità aziendale e dei valori che ne costituiscono l’essenza.
Il piano si articola in due fasi:
Queste cessioni non sono state lasciate al caso. Giorgio Armani ha persino indicato una short list di potenziali partner di primo piano, come LVMH, EssilorLuxottica e L’Oréal. In alternativa, è stata contemplata la possibilità di una quotazione in Borsa entro cinque-otto anni, purché su un mercato regolamentato italiano o di livello equivalente.
Il vero baricentro, tuttavia, resta la Fondazione Giorgio Armani, che conserverà sempre almeno il 30,1% delle azioni. Questa soglia minima opera come una sorta di “golden share valoriale”, non un privilegio tecnico, ma un presidio etico e culturale. Significa che qualunque sia l’evoluzione della compagine sociale, l’azienda dovrà continuare a rispecchiare i principi fissati dal suo fondatore.
Quali sono i principi che Re Giorgio ha trasformato in norme giuridiche vincolanti?
Giorgio Armani ha dimostrato che è possibile aprire l’impresa a nuovi capitali senza snaturarla, coniugando la necessità di crescere in un mercato competitivo con l’obbligo di rimanere fedeli a un’identità consolidata.
La pianificazione di Giorgio Armani non si è limitata all’impresa. Anche il patrimonio personale è stato organizzato con la stessa attenzione, combinando strumenti giuridici classici per conciliare esigenze affettive, tutela fiscale e certezza della destinazione finale dei beni.
Le residenze di lusso, da Milano a New York fino a Saint-Tropez, St. Moritz, Pantelleria e Antigua, sono state distribuite con logiche precise.
Questa combinazione riduce il valore immediatamente tassabile e, allo stesso tempo, garantisce che chi era più vicino allo stilista possa continuare a vivere in quegli spazi, mentre la proprietà resta ancorata alla famiglia.
Armani ha mostrato la stessa precisione anche nella gestione del suo patrimonio mobiliare. La partecipazione di quasi il 2% in EssilorLuxottica, dal valore di oltre due miliardi di euro, è stata divisa tra Dell’Orco (40%) e i familiari (60%). Una ripartizione che equilibra riconoscenza e continuità, evitando concentrazioni eccessive. Quote minori sono state lasciate anche a collaboratori di fiducia.
Nemmeno gli oggetti più simbolici sono stati trascurati. Le opere d’arte e i beni di design hanno avuto una destinazione specifica, in modo che riflettessero rapporti e affetti. Il ritratto di Andy Warhol a Dell’Orco, un quadro di Matisse e una fotografia di Man Ray alla sorella Rosanna. Inoltre, lo stilista ha regolamentato persino l’utilizzo dello yacht, con l’onere per gli eredi di concedere a Dell’Orco la possibilità di noleggiarlo per 4 settimane l’anno. Giorgio Armani non ha trascurato neanche l’organizzazione dell’utilizzo delle case per i soggiorni temporanei della nipote Roberta.
La pianificazione successoria non riguarda solo le grandi scelte aziendali o fiscali, ma anche la protezione degli affetti.
Strumenti come la nuda proprietà e l’usufrutto, spesso percepiti come tecnicismi, possono trasformarsi in mezzi efficaci per coniugare il valore economico dei beni con le relazioni personali e i legami familiari.
Il modello successorio disegnato da Giorgio Armani non è soltanto un esempio per grandi gruppi internazionali, ma una lezione universale che ogni famiglia imprenditoriale, piccola o grande, può adattare alla propria realtà. Dal suo caso emergono almeno cinque regole d’oro che meritano di essere ricordate.
La successione non si improvvisa. Armani ha iniziato a strutturare il passaggio generazionale anni prima della sua scomparsa, evitando decisioni affrettate e garantendo serenità alla famiglia e all’impresa.
Fondazioni, nuda proprietà, usufrutto, azioni a voto maggiorato sono strumenti che hanno una funzione diversa. La loro combinazione crea un equilibrio che protegge il patrimonio e ne assicura la continuità.
Distribuire ricchezza e distribuire potere non sono la stessa cosa. Separare diritti patrimoniali e diritti di voto, come nel caso Armani, consente di affidare le decisioni a chi ha competenze e visione, prevenendo conflitti interni.
Le vendite programmate e l’apertura a partner industriali garantiscono risorse fresche, ma la Fondazione e i principi statutari preservano l’identità del brand. È la dimostrazione che crescita e coerenza possono convivere.
Ogni passaggio generazionale ha un impatto fiscale significativo. Armani ha sfruttato la normativa a favore delle fondazioni per azzerare l’imposta di successione, mostrando quanto sia importante inserire la fiscalità nella pianificazione strategica.
Il caso di Giorgio Armani dimostra che la successione non è un evento inevitabile da subire, ma un processo da gestire con lucidità e visione. Ciò che colpisce non è soltanto la grandezza del patrimonio in gioco, ma la capacità di trasformare il passaggio generazionale in un’occasione di stabilità, continuità e crescita.
Ogni famiglia imprenditoriale può trarre insegnamento dalla successione patrimoniale di Giorgio Armani. La domanda non è se pianificare, ma quando iniziare. Rimandare significa esporsi a conflitti, incertezze e costi spesso insostenibili. Agire per tempo, invece, permette di garantire serenità agli eredi, continuità all’impresa e rispetto per la propria storia.
In ambito successorio, il lascito più prezioso di Giorgio Armani non è solo un impero economico e creativo, ma un vero e proprio manuale di successione, un capolavoro che insegna a cucire insieme patrimonio, valori e futuro, senza lasciare nulla al caso.