Dicasi lavorazione intra-ue quelle attività volte a trasferire un bene di propria produzione presso altro paese membro dell'Unione europea, per la sua trasformazione o implementazione a seguito di successiva vendita ad un terzo paese membro dell'Unione europea.
Quale comportamento dovranno avere i paesi facenti parte dell'Unione europea in campo iva?
Di recente la Corte di Giustizia Europa con la sentenza alle cause riunite C-606/12 e c-607/12 del 6 marzo 2014 ha stabilito: i trasferimenti intracomunitari di beni provenienti da un altro stato membro dell'Unione europea, e destinati ad essere lavorati nel paese comunitario di arrivo, sono ammessi al regime di sospensione d'imposta sotto la condizione che, al termine della prestazione, i beni ritornino al territorio di origine.
La sentenza della Corte di Giustizia Europea ha fatto emergere una evidente incompatibilità della norma nazionale, contenuta nell'art. 38, comma 5, lettera a) del D.L. n. 331/1993 , rispetto alla corrispondente disposizione unionale di cui all'art. 17, paragrafo 2, lettera f, dell Direttiva 2006/112/CE.
Considerato che dobbiamo tener fede alle disposizioni europee la normativa di riferimento sarà art. 17 della Direttiva Ce che dice: Non si considera trasferimento o destinazione di un altro Stato membro la spedizione o il trasporto di un bene ai fini di una delle seguenti operazioni:
lettera f) la prestazione di un servizio resa al soggetto passivo o avente per oggetto la perizia o lavori riguardanti il bene materialmente eseguiti nel territorio dello stato membro di arrivo della spedizione o del trasporto del bene,qualora il bene, al termine della perizia o dei lavori, sia rispedito al soggetto passivo nello Stato membro a partire dal quale era stato inizialmente spedito o trasportato.
Da tale lettura si capisce che la spedizione di un bene ai fini di una prestazione di un servizio, non si considera nel regime sospensivo se il bene, al termine della prestazione, viene rispedito al soggetto passivo dello Stato membro di origine. Al contrario di quanto appena detto si avrebbe una cessione intracomunitaria nel paese di origine ed un acquisto intracomunitario nel paese di destinazione.
Quindi l'effettiva differenza tra art. 17, paragrafo 2, lettera f, dell Direttiva 2006/112/CE e art. 38, comma 5, lettera a) del D.L. n. 331/1993 è che la norma unionale accorda il regime sospensivo esclusivamente qualora il bene dopo la sua trasformazione sia rispedito al soggetto passivo dello Stato membro di origine mentre la normativa nazionale permette consente tale applicazione anche se il bene viene trasferito ad un terzo (comunitario e non) anche de differente da quello di partenza.
Arrivando alle conclusioni possiamo affermate che va posta molta attenzione alle delocalizzazioni dei processi di lavorazione in altri paesi membri seguendo le linee guida della sentenza alle cause riunite C-606/12 e c-607/12 del 6 marzo 2014 ponendo particolare attenzione nei trasferimenti di beni "in uscita" dal territorio dello Stato membro ai fini di lavorazioni in altro Stato membro.
Operativamente se un bene, al termine della sua trasformazione, non viene restituito allo Stato membro di origine/spedizione, e viene inviato in uno Stato membro diverso da quello dello Stato di origine, il committente dovrà aprire nello Stato membro di lavorazione una Rappresentante Fiscale per acquisire l'acquisto intracomunitario del bene originariamente introdotto e la successiva cessione intracomunitaria oppure la sua esportazione.
Facciamo un esempio:
Una società italiana trasferisce alcuni beni ad un terzista incaricato spagnolo a seguito di una cessione dei beni ad una società francese. alla conclusione dei lavori in Spagna i beni vengono trasferiti alla società francese.
In questo caso la società italiana avrà i seguenti obblighi:
Identificarsi ai fini Iva in Spagna aprendo una Rappresentante Fiscale o Identificazione Diretta;
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