Sentenza della Corte di Cassazione "senza precedenti", che ha chiarito definitivamente l'estraneità del mantenimento della residenza della famiglia dell'imprenditore in Italia quale presupposto al pagamento delle tasse in Italia, quindi il vincolo affettivo decade.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n.6501 del 31.03.2015, ha definito che, se un cittadino lavora e risiede all'estero non è tenuto a pagare le tasse in Italia, nemmeno se possiede il vincolo affettivo in quanto non hanno nessun nesso con il domicilio fiscale. L'importante è mantenere la prova documentale che si dimori per più di 183 giorni fuori dall'Italia.
Ricordiamo l'art. 2 del D.P.R. 971 del 22.12.1986 che recita:
Soggetti passivi dell'imposta sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato;
Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nell'anagrafe della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.bis. Si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafe della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto del Ministero delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale.
Ed è per questo motivo che da oggi il tentativo da parte dell'Agenzia delle Entrate di recuperare a tassazione reddito prodotto dagli italiani all'estero che hanno variato la residenza fiscale e detengono gli affetti in Italia sarà vano, perché il vincolo affettivo decade.
Quindi ribadiamo che il legame con la famiglia residente in Italia non ha rilevanza ai fini della determinazione del domicilio fiscale.
In parole semplici il Corte di Cassazione ha voluto chiarire una volta per tutte che il fatto di aver lasciato moglie e figli in Italia non è sintomatico di una elusione fiscale.
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