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Il Trust Autodichiarato: le ultime novità

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Il Trust Autodichiarato: le ultime novità

Nel panorama giuridico italiano, il Trust Autodichiarato è da tempo oggetto di dibattito, tra perplessità interpretative, rigidità formali e sfide legate alla trascrizione nei pubblici registri. Ciononostante, una pronuncia del Tribunale di Modena ha segnato un punto di svolta nell’analisi e nella valutazione di questo strumento giuridico.

Il caso nasce da un atto di Trust Autodichiarato che un notaio di Lugano ha autenticato. Analizzando il caso si ha la sensazione di essere dinanzi a un episodio tecnico e circoscritto. Secondo il Conservatore dei Registri Immobiliari di Modena, l’atto non rispettava i requisiti di forma previsti dal Codice Civile italiano. L’esito, quindi, ha aperto una riflessione più ampia, riguardante la possibilità di trascrivere in Italia un Trust Autodichiarato.

 

In che misura un atto di origine estera può essere accolto nel nostro ordinamento senza snaturarne la struttura?

 

Il diniego ha sollevato importanti interrogativi sulla validità degli atti esteri nell’ordinamento italiano.

La sentenza del Tribunale di Modena non si limita ad accogliere un ricorso, ma ridefinisce i confini della trascrivibilità e riafferma la necessità di valutare il Trust non solo come strumento teorico, ma come realtà operativa nel contesto della protezione patrimoniale.

 

Tribunale di Modena: il caso giudiziario

La vicenda giudiziaria, come già anticipato, prende avvio da un atto di Trust Autodichiarato autenticato da un notaio svizzero, con sede a Lugano. Il Disponente, nella doppia veste di Trustee, aveva conferito un bene immobile nel Trust, mantenendone la gestione fiduciaria a favore di uno o più Beneficiari. L’obiettivo era procedere alla trascrizione nei registri immobiliari italiani, dando così pubblicità legale all’atto e rafforzando la tutela giuridica del vincolo fiduciario.

Il Conservatore dei Registri Immobiliari di Modena ha rifiutato la trascrizione. Alla base del rifiuto vi è una lettura attenta e rigorosa dell’articolo 2643 del Codice Civile, che elenca tassativamente gli atti soggetti a trascrizione. Secondo il Conservatore, un Trust Autodichiarato non comporta alcun trasferimento della proprietà. Non vi è passaggio da un soggetto a un altro, essendo Disponente e Trustee la stessa persona.

Di conseguenza, l’atto sarebbe privo di effetto traslativo e dunque non trascrivibile.

Questa interpretazione formalistica ha suscitato perplessità tra giuristi e notai, poiché rischia di escludere a priori dalla pubblicità immobiliare strumenti fiduciari perfettamente leciti e operativi in ambito internazionale. In particolare, il rifiuto mette in discussione la validità degli atti esteri quando non si conformano rigidamente ai modelli civilistici italiani, anche se riconosciuti dal diritto internazionale.

 

Il Trust Autodichiarato, pur non generando un trasferimento formale di proprietà, può produrre effetti giuridici idonei alla trascrizione? 

 

Su questo punto si è espresso il Tribunale, aprendo un varco interpretativo di grande importanza. A fronte del rifiuto del Conservatore, il caso è stato sottoposto all’attenzione del Tribunale di Modena, che ha accolto il ricorso, riconoscendo la trascrivibilità dell’atto di Trust Autodichiarato, pur in assenza di un trasferimento di proprietà in senso stretto.

La decisione rappresenta un passaggio fondamentale nella giurisprudenza italiana sul tema.

Il Tribunale ha richiamato la Convenzione dell’Aja del 1985, ratificata dall’Italia con la Legge n. 364/1989, che impone agli Stati aderenti di riconoscere gli effetti giuridici dei Trust istituiti secondo il diritto di un altro Stato. Il giudice ha quindi confermato che il Trust Autodichiarato, purché istituito in uno Stato che riconosce la figura, è perfettamente ammissibile anche nel nostro ordinamento, a condizione che sia conforme ai requisiti formali e sostanziali previsti dalla legge italiana.

Il punto centrale è che, sebbene Disponente e Trustee coincidano, il Trust produce effetti giuridici reali, in quanto costituisce un vincolo di destinazione sui beni, a favore di uno o più Beneficiari o per il perseguimento di uno scopo determinato. Secondo il Tribunale, non è quindi necessario che vi sia un passaggio di proprietà, essendo sufficiente la creazione di un effetto dispositivo, ossia la separazione patrimoniale tra beni personali e fondo in Trust.

Inoltre, la sentenza sottolinea che la trascrizione è strumento di pubblicità e tutela e deve essere ammessa anche quando non vi sia un trasferimento in senso stretto, ma un mutamento della natura giuridica del rapporto con il bene.

 In questo contesto, l’atto di Trust Autodichiarato può e deve essere trascritto, a condizione che:

  • Sia redatto in forma autentica;
  • Contenga gli elementi essenziali del Trust (Disponente, Trustee, beni, Beneficiari o scopo);
  • Sia conforme alle regole formali del nostro ordinamento.

 

La pronuncia del Tribunale di Modena va dunque oltre il tecnicismo civilistico e riconosce la funzione sostanziale del Trust, valorizzandone l’effetto dispositivo e l’utilità nella protezione patrimoniale.

 

Trust Autodichiarato: quali sono le implicazioni notarili?

La sentenza del Tribunale di Modena non si limita a fornire una lettura giuridica evolutiva del Trust Autodichiarato, ma richiama indirettamente l’attenzione su un aspetto fondamentale e spesso trascurato: la centralità del ruolo notarile nella gestione e nella verifica degli atti, in particolare quelli di origine estera.

 

Quali sono i requisiti formali del verbale di deposito?

Ogni atto destinato alla trascrizione nei Registri Immobiliari Italiani deve rispettare precisi requisiti di forma, senza i quali il documento può essere rifiutato o addirittura considerato nullo.

  • Forma scritta dell’atto;
  • Autenticazione da parte del notaio, con sottoscrizione e timbro;
  • Indicazione chiara delle parti, dell’oggetto e della volontà dispositiva;
  • Conformità alle norme italiane sul contenuto e sulla struttura dell’atto.

 

Nel caso del Trust, in particolare del Trust Autodichiarato, la forma acquista un valore determinante. Infatti, se l’atto non dimostra con chiarezza l’assunzione di obblighi fiduciari da parte del Disponente-Trustee, la trascrizione può essere legittimamente respinta.

 

In cosa consiste la verifica notarile degli atti esteri?

Quando si ha a che fare con atti provenienti da ordinamenti stranieri, il notaio italiano assume una funzione di filtro giuridico, accertando che il documento sia valido nel Paese d’origine e che sia compatibile con le norme italiane, anche in materia di ordine pubblico.

Questo processo di verifica può comportare:

  • La richiesta dell’Apostille (certificato che attesta l’autenticità di un documento), se l’atto proviene da uno Stato aderente alla Convenzione dell’Aja;
  • La necessità di legalizzazione diplomatica, per gli Stati non aderenti;
  • La traduzione giurata in lingua italiana, se necessaria;
  • La valutazione della capacità delle parti, della liceità dello scopo e della riconoscibilità degli effetti giuridici. 

Una volta accertata la validità dell’atto estero, occorre verificarne la conformità al diritto italiano.

A tal proposito, l’atto deve avere le seguenti caratteristiche:

  • Deve essere idoneo a produrre effetti giuridici nell’ordinamento italiano;
  • Non deve contrastare con norme imperative o con l’ordine pubblico;
  • Deve essere inquadrabile tra gli atti soggetti a trascrizione.

 

“I notai sono i custodi della legalità e devono garantire la conformità normativa del processo.”

Giuseppa Maria Pulvirenti

 

È bene precisare che le pratiche notarili variano notevolmente da Paese a Paese. In ordinamenti civil law, come l’Italia, la figura del notaio è dotata di poteri certificativi molto ampi e di una funzione pubblica. In altri contesti, come nei sistemi di common law, l’autenticazione può essere più flessibile, ma meno garantista. Questo può generare incomprensioni o rifiuti formali quando si tenta di utilizzare atti stranieri nel nostro sistema.

 

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Trust Autodichiarato: quali sono le sfide fiscali e qual è la posizione dell’Agenzia delle Entrate?

Se sul piano civilistico la giurisprudenza, come nel caso Modena, sembra ormai orientata verso una maggiore apertura nei confronti del Trust Autodichiarato, lo stesso non si può dire per il piano fiscale. In Italia, l’Agenzia delle Entrate continua a mostrare una posizione ambigua e restrittiva, spesso sovrapponendosi indebitamente al giudizio civilistico e disconoscendo gli effetti giuridici del Trust, soprattutto quando autodichiarato.

 

Il disconoscimento fiscale

Uno dei principali ostacoli all’efficacia del Trust Autodichiarato è rappresentato dalla tendenza dell’Amministrazione finanziaria a negarne la validità, ritenendo che manchi una reale alterità soggettiva tra disponente e trustee. Questa posizione si fonda sulla convinzione che, se il Disponente continua a esercitare un potere effettivo sul bene, non vi sia alcuna separazione patrimoniale e nessun effetto giuridico rilevante ai fini fiscali.

Tale atteggiamento, però, rischia di invadere un ambito, quello civilistico, che non rientra nelle competenze del Fisco, creando un cortocircuito giuridico. È il giudice civile a stabilire se un atto produce effetti validi nell’ordinamento; l’Agenzia delle Entrate dovrebbe limitarsi a valutarne le conseguenze tributarie, senza mettere in discussione la legittimità formale o sostanziale dello strumento.

Un’eccezione significativa a questo approccio si registra nel riconoscimento del Trust Autodichiarato nell’ambito del “Dopo di Noi”, ovvero nella pianificazione a favore di soggetti con disabilità grave, ai sensi della Legge n. 112/2016. In questi casi, l’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto la validità del Trust, anche quando il genitore è al tempo stesso Disponente e Trustee, ritenendo evidente che non vi sia un intento elusivo ma un fine solidaristico tutelato dalla legge.

 

Non è la struttura del Trust Autodichiarato a essere incompatibile con l’ordinamento, ma l’uso improprio che a volte ne viene fatto. Quando lo scopo è legittimo, definito e documentabile, anche l’amministrazione fiscale può accettarne la validità.

 

Uno degli elementi più delicati riguarda la percezione del controllo da parte del Disponente.

Molti soggetti che istituiscono un Trust Autodichiarato lo fanno per mantenere il pieno potere sui beni, senza realmente accettare le limitazioni e gli obblighi che derivano dalla qualifica di Trustee.

In questi casi, il rischio di disconoscimento da parte dell’Agenzia è molto elevato.

È fondamentale comprendere che il Trustee, anche se coincide con il Disponente, non agisce come proprietario, ma come obbligato fiduciario, vincolato al perseguimento dello scopo del Trust. 

 

La fiducia personale non è l’elemento centrale, come spesso si crede: ciò che conta è la sostanza dell’obbligazione fiduciaria e la tracciabilità delle azioni coerenti con lo scopo dichiarato.

 

Profilo tributario: quali sono i requisiti di un Trust Autodichiarato?

Per superare la diffidenza dell’amministrazione fiscale, un Trust Autodichiarato deve dimostrare:

  • Una chiara distinzione tra volontà di gestione e proprietà sostanziale;
  • Un progetto credibile di gestione del patrimonio a favore di terzi;
  • La piena tracciabilità delle operazioni svolte dal Trustee-Disponente;
  • L’assenza di conflitti d’interesse o utilizzi personali del bene nel Trust.

 

Cosa è il cortocircuito civile?

Il Trust Autodichiarato, per sua natura, presenta un elemento di ambiguità strutturale che ne rende difficile l’inquadramento, soprattutto in un ordinamento come quello italiano, storicamente diffidente verso le forme giuridiche ibride. Questo elemento critico si manifesta nel cosiddetto “cortocircuito civile”, ovvero nella coincidenza tra il soggetto che istituisce il Trust (Disponente) e colui che ne assume la gestione (Trustee).

Nel momento in cui un soggetto istituisce un Trust Autodichiarato, cessa di essere proprietario giuridico del bene. Sebbene permanga un collegamento personale, la sua posizione si trasforma: da titolare pieno a obbligato fiduciario. Questo passaggio è fondamentale e spesso sottovalutato da chi ricorre a questa soluzione.

Il bene entra a far parte di un fondo in Trust separato, destinato a uno scopo o a specifici Beneficiari. Anche se il codice fiscale rimane lo stesso, la qualifica soggettiva del Trustee è profondamente diversa da quella del precedente proprietario. Egli non può più disporre del bene liberamente, ma deve agire in conformità alle finalità previste dall’atto istitutivo.

Questo cambio di status è spesso più formale che sostanziale, soprattutto quando il Disponente continua a comportarsi come effettivo dominus del bene. È proprio questa “illusione di controllo” che alimenta il sospetto dell’Agenzia delle Entrate e mina la credibilità del Trust Autodichiarato.

Il Trust rischia di apparire come uno schermo giuridico senza effettiva separazione patrimoniale.

 

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Qual è il ruolo del Trustee?

Chi sceglie un Trust Autodichiarato spesso lo fa per sfiducia nei confronti di terzi, ma ignora un punto chiave: il Trustee non deve necessariamente essere una persona “di fiducia” del Disponente, bensì un soggetto professionalmente idoneo ad assumere un obbligo fiduciario verso il Trust, non verso il Disponente.

 

Il Trustee non è il fiduciario personale del Disponente, ma il garante della realizzazione dello scopo del Trust.

 

Come previsto dal diritto dei Trust, il Trustee, anche se è lo stesso Disponente, si vincola giuridicamente ad agire nell’interesse del Trust, non per sé stesso. Questo richiede un comportamento coerente, formalmente e sostanzialmente allineato allo spirito dell’istituto.

Un errore ancora più grave è quello di creare un Trust Autodichiarato in cui Disponente, Trustee e Beneficiario coincidono. In tal caso, manca completamente l’alienazione del bene e l’effetto di segregazione viene meno, rendendo l’atto privo di contenuto giuridico. In queste circostanze, il Trust non può esistere, né essere trascritto, né tantomeno riconosciuto dal Fisco o da un giudice.

 

Il Trust Autodichiarato, se correttamente istituito e gestito, è uno strumento legittimo e utile, soprattutto nella protezione del patrimonio e nella pianificazione successoria.

 

La sentenza del Tribunale di Modena non è solo una risposta precisa e puntuale a un caso controverso, rappresenta una breccia nel muro di diffidenza che per anni ha accompagnato il Trust Autodichiarato in Italia. Se la giurisprudenza continuerà a orientarsi in questa direzione, le implicazioni saranno profonde e sistemiche, tanto sul piano normativo quanto su quello operativo.

L’apertura giurisprudenziale potrebbe indurre il legislatore a intervenire in via normativa, chiarendo in modo esplicito i criteri per la trascrizione degli atti di Trust Autodichiarato, i limiti di validità civilistica e le condizioni per il riconoscimento fiscale.

 

Il Trust Autodichiarato può rivelarsi uno strumento efficace di protezione patrimoniale, gestione successoria e pianificazione a lungo termine.

Ma per funzionare davvero, deve essere costruito con rigore tecnico, chiarezza giuridica e coerenza comportamentale.

Non basta un atto ben scritto: serve una visione chiara, una progettazione accurata e una gestione consapevole.

 

 

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