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Il referendum svizzero sulle successioni

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Il referendum svizzero sulle successioni

Il 30 novembre 2025 la Svizzera sarà chiamata a votare un referendum che potrebbe rivoluzionare la sua storica attrattività fiscale: introdurre un’imposta federale del 50% su successioni e donazioni oltre i 50 milioni di franchi svizzeri, senza alcuna esenzione per i familiari più stretti.

Una proposta senza precedenti, capace di cambiare la geografia della pianificazione patrimoniale internazionale e di ridisegnare i flussi dei grandi capitali globali.

Se da un lato il dibattito ha già generato incertezza e un “danno reputazionale” per la Svizzera, dall’altro apre uno spazio competitivo per altri ordinamenti. Tra questi, l’Italia si posiziona oggi come una delle destinazioni più interessanti per chi cerca stabilità normativa, tassazione favorevole e strumenti di protezione patrimoniale avanzati.

 

Capire le conseguenze di questo referendum non è solo una questione di politica interna svizzera, ma un tema centrale per famiglie imprenditoriali, investitori e professionisti che desiderano pianificare il passaggio generazionale con efficienza fiscale e sicurezza giuridica.

 

Perché il referendum in Svizzera cambierà la geografia delle successioni?

Il panorama della pianificazione patrimoniale internazionale è in continua trasformazione e la Svizzera, storicamente considerata un rifugio fiscale sicuro, si trova ora davanti a un bivio.

Il 30 novembre 2025 gli elettori svizzeri saranno chiamati a votare un referendum che propone di introdurre una nuova imposta federale del 50% su successioni e donazioni oltre i 50 milioni di franchi svizzeri, senza alcuna esenzione neppure per coniugi, figli o altri eredi diretti.

Un elemento di rottura perché, fino ad oggi, la Svizzera non ha mai conosciuto una tassa successoria a livello federale. La materia è rimasta di competenza cantonale, con regole e aliquote variabili da Cantone a Cantone. L’ipotesi di un’imposta nazionale uniforme avrebbe un impatto immediato sui grandi patrimoni e segnerebbe anche la fine di una tradizione che per decenni ha garantito prevedibilità e stabilità normativa.

Il solo annuncio del referendum ha prodotto conseguenze concrete.

Infatti, numerosi detentori di grandi capitali hanno iniziato a valutare il trasferimento di residenza o il ricollocamento di beni verso ordinamenti ritenuti più stabili. Potremmo definire questa situazione “esodo silenzioso”, che mette in discussione la stessa geografia della ricchezza in Europa e che costringe famiglie imprenditoriali e high net worth individuals (HNWI) a riconsiderare le proprie strategie di pianificazione successoria e patrimoniale.

 

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Qual è l’impatto sulla reputazione fiscale della Svizzera?

La conseguenza più immediata del referendum non è soltanto economica, ma anche e soprattutto reputazionale. La stabilità legislativa è stata il fiore all’occhiello della Svizzera, un Paese che, pur modificando nel tempo la propria normativa bancaria e finanziaria, ha sempre garantito continuità, prevedibilità e neutralità. È questo patrimonio immateriale ad aver attratto capitali da tutto il mondo, trasformando la Confederazione in una delle piazze più importanti della pianificazione patrimoniale internazionale.

Oggi, però, quella certezza vacilla. Che un referendum popolare possa mettere in discussione principi consolidati, come l’assenza di una tassa federale sulle successioni, lancia un messaggio di instabilità normativa. Per gli investitori e per le famiglie che detengono grandi patrimoni, l’aliquota del 50% è un dato preoccupante, ma lo è ancor di più la sensazione che il quadro giuridico possa cambiare all’improvviso, senza tutele.

Quando si parla di protezione patrimoniale, infatti, la reputazione pesa più delle cifre.

Non è raro che grandi famiglie imprenditoriali siano disposte a tollerare un livello più alto di tassazione in cambio della sicurezza di regole stabili nel tempo. Al contrario, un ambiente percepito come incerto spinge a cercare immediatamente alternative, anche se formalmente meno vantaggiose sul piano fiscale.

Il “danno reputazionale” che la Svizzera rischia di subire riguarda non tanto la perdita di competitività numerica rispetto ad altri sistemi, ma l’erosione della fiducia accumulata in decenni. Un capitale immateriale che, una volta compromesso, è difficile ricostruire.

 

In un mondo sempre più interconnesso, la concorrenza fiscale tra Stati non si gioca soltanto sulle aliquote, ma soprattutto sulla capacità di garantire certezze e regole chiare per il futuro.

 

Tassazione successoria: perché l’Italia è più competitiva?

Mentre la Svizzera si interroga sul futuro della propria fiscalità successoria, l’Italia si conferma come una delle giurisdizioni più favorevoli in Europa per chi deve pianificare il passaggio generazionale del patrimonio. La ragione è semplice: aliquote contenute, franchigie molto alte e regole che, di fatto, riducono o annullano l’imposizione per la maggior parte delle successioni familiari.

Il sistema italiano prevede:

  • Aliquota del 4% per coniugi, uniti civilmente, figli, nipoti e genitori.
  • Aliquota del 6% per fratelli, sorelle e altri parenti fino al quarto grado.
  • Aliquota dell’8% per tutti gli altri beneficiari.
  • Franchigie elevate: fino a 1 milione di euro per ciascun trasferimento a favore di coniuge e discendenti; 100.000 euro per fratelli e sorelle.

Queste soglie, unite all’estinzione del cosiddetto coacervo, ossia il cumulo tra donazioni e successioni, con doppia applicazione della franchigia, fanno sì che la maggior parte delle successioni in Italia non paghi imposte. Ciò è possibile grazie a specifiche soglie di esenzione e normative che tutelano eredi e beneficiari.

Inoltre, si aggiungono ulteriori esenzioni mirate, pensate per favorire la continuità economica e la tutela di beni di interesse collettivo:

  • Titoli di Stato e assimilati esclusi dall’imposizione.
  • Partecipazioni societarie di controllo, esenti se trasferite agli eredi con l’impegno a proseguire l’attività d’impresa.
  • Beni culturali e opere d’arte vincolate, che godono di trattamenti agevolati o di totale esclusione.

Il risultato è un sistema che non solo appare più “leggero” rispetto ai principali partner europei, ma che risponde anche a un preciso obiettivo di politica economica: favorire la trasmissione del patrimonio familiare, preservare l’unità delle imprese e tutelare asset di particolare valore culturale o strategico.

Dunque, se la Svizzera mette in discussione la propria stabilità, l’Italia si propone come un porto sicuro, dove la combinazione di regole favorevoli e certezze normative diventa un potente fattore di attrazione per famiglie imprenditoriali e investitori internazionali.

Dal 2017, chi trasferisce in Italia la propria residenza e non è stato fiscalmente residente nei precedenti 9 anni, può adottare il cosiddetto “regime forfettario per nuovi residenti”, pagando una flat tax di 200.000 euro annui su tutti i redditi esteri, con inclusa la totale esenzione dall’imposta su successioni e donazioni per tutti i beni detenuti all’estero. Soltanto il reddito in Italia sarà assoggettato al normale regime successorio.

 

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Tasse di successione

Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti a confronto

Per valutare la reale competitività del sistema italiano, è necessario guardare oltre i confini nazionali e confrontarlo con le principali economie mondiali. Ed è proprio da questo confronto che emergono le differenze più marcate.

In Germania, le aliquote sulle successioni variano dal 7% al 50% in base al grado di parentela e al valore trasferito. Le franchigie sono sensibilmente più basse rispetto a quelle italiane. Ad esempio, per i figli ammontano a circa 400.000 euro, contro il milione previsto in Italia. Il risultato è che una quota significativa delle eredità tedesche viene effettivamente tassata.

In Francia, il sistema appare ancora più gravoso. L’aliquota per i trasferimenti a figli e nipoti può arrivare fino al 45%, con una franchigia di appena 100.000 euro per ciascun beneficiario. È evidente che, al crescere del patrimonio, la pressione fiscale diventa immediatamente molto più intensa rispetto al contesto italiano.

Il Regno Unito applica un’imposta di successione del 40% su tutti i beni che superano la soglia di 325.000 sterline. Esistono alcune agevolazioni, come la cosiddetta “nil-rate band” per la prima casa lasciata ai figli, ma il carico rimane comunque consistente e colpisce un’ampia platea di famiglie della classe media, non solo i grandi patrimoni.

Negli Stati Uniti, infine, la tassa federale di successione raggiunge il 40% sui beni che eccedono i 13,6 milioni di dollari (soglia 2024–2025). A questa si possono sommare eventuali imposte successorie statali, che in alcuni casi gravano ulteriormente sulla trasmissione dei patrimoni.

In questo quadro comparativo, l’Italia rappresenta una vera eccezione: aliquote basse e franchigie elevate che, di fatto, escludono dall’imposizione la maggioranza delle successioni.

L’impatto è di duplice natura. Da un lato si preservano i patrimoni familiari e la continuità delle imprese; dall’altro il Paese si colloca in una posizione di vantaggio competitivo rispetto a ordinamenti storicamente considerati più forti sul piano economico e finanziario.

 

Trust, fondazioni ed enti no profit per la pianificazione patrimoniale

La pianificazione patrimoniale non si esaurisce nella ricerca di vantaggi fiscali. Sempre più spesso, infatti, i detentori di grandi ricchezze scelgono di dare una destinazione valoriale ai propri beni, integrando nelle loro strategie strumenti che garantiscono protezione, continuità e finalità filantropiche. È qui che entrano in gioco soluzioni come il Trust, le fondazioni e i lasciti a enti no profit.

In Italia, le donazioni e i lasciti a favore di enti non profit riconosciuti (associazioni, fondazioni, organizzazioni religiose, culturali o umanitarie) godono di una totale esenzione dalle imposte di successione e donazione. Questa scelta è volta a incoraggiare la destinazione della ricchezza privata verso progetti di utilità sociale, scientifica e culturale. In questo senso, il nostro ordinamento si colloca accanto a Paesi come Stati Uniti e Regno Unito, che hanno fatto della filantropia strutturata uno dei cardini della loro tradizione giuridica.

Tra gli strumenti più utilizzati vi è la fondazione, che consente di costituire un patrimonio autonomo e vincolato a determinati scopi. Questo garantisce una gestione durevole e professionale, che sopravvive al fondatore e assicura la continuità di iniziative culturali, educative o assistenziali. Non a caso, molte famiglie imprenditoriali hanno scelto questa via per perpetuare non solo la loro ricchezza, ma anche i valori e gli ideali che l’hanno ispirata.

Il Trust, invece, si distingue per la sua flessibilità. Grazie alla separazione e segregazione patrimoniale, consente di modulare con precisione la destinazione dei beni, tutelando al contempo gli interessi dei beneficiari. Può assumere una funzione familiare, proteggendo eredi vulnerabili o garantendo equità nella distribuzione, oppure una funzione filantropica, destinando parte del patrimonio al sostegno di cause di pubblico interesse. L’uso del Trust filantropico è in forte crescita, perché permette di conciliare esigenze private e finalità collettive in un unico strumento giuridico.

 

Qual è il ruolo dell’Italia nella nuova pianificazione patrimoniale globale?

Il referendum svizzero del 30 novembre rappresenta un punto di svolta non soltanto per la Confederazione, ma per l’intero panorama della pianificazione patrimoniale internazionale. In un contesto in cui anche i Paesi tradizionalmente percepiti come sicuri mettono in discussione le proprie regole, emerge la necessità di affidarsi a ordinamenti che offrano certezze, continuità e strumenti giuridici solidi.

L’Italia, oggi, risponde a questa esigenza in modo chiaro e competitivo. Le varie soluzioni, come aliquote tra le più basse d’Europa, franchigie elevate, flat tax per i nuovi residenti ed esenzioni per devoluzioni a enti filantropici, collocano il Paese tra le destinazioni più attrattive per chi deve pianificare la successione e proteggere il proprio patrimonio.

A questo si aggiunge la disponibilità di strumenti, come Trust e fondazioni, che permettono di costruire strategie su misura e intergenerazionali.

 

L’Italia si propone come un hub globale per la protezione e la trasmissione della ricchezza, dove l’efficienza giuridica incontra un contesto sociale e culturale unico.

Per le famiglie imprenditoriali e i grandi patrimoni internazionali, questa combinazione rappresenta un vantaggio competitivo difficilmente replicabile altrove.

 

In un mondo in rapida evoluzione, dove l’incertezza è diventata la regola, la stabilità italiana può trasformarsi in un asset strategico. Non più soltanto meta turistica o culturale, l’Italia si afferma oggi come una destinazione centrale per chi cerca sicurezza, efficienza e continuità nella pianificazione patrimoniale globale.

 

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